Omelia in occasione della chiusura della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani

Celebrazione ecumenica (Vespri), Cattedrale di Santa Maria (Atti 28,1-2)
25-01-2020

«Ci trattarono con gentilezza». Più giusto sarebbe dire come da testo greco originale «con filantropia». Il naufragio a Malta avviene durante un viaggio di “traduzione giudiziaria”. Paolo, infatti, era un civis romanus, sul quale nulla poteva l’autorità delle province romane. Per questo l’Apostolo appella direttamente a Cesare. Ma nel viaggio verso la capitale dell’Impero fa naufragio a Malta. Cosa lascia intendere l’ospitalità dei maltesi che sempre nel testo greco originale vengono definiti «i barbari» perché non rientrano nel perimetro della cultura greco-romana? Non è sorprendente che già duemila anni fa ci fossero scambi commerciali e mobilità fisica ben al di là dell’Impero e che questo non destasse alcuno scandalo? E che vuol dire questa ospitalità rispetto alla diffusa incertezza di oggi, che rende attoniti di fronte alle grandi questioni umanitarie e, in ogni caso, piuttosto indifferenti alla prova pratica?

Ci sono almeno due questioni: una è umana e l’altra spirituale.

La prima è a carattere umanitario, cioè filantropico e mostra un tempo in cui l’ospitalità era praticata come virtù necessaria. Si dirà che ben altri erano i numeri di ieri rispetto ad oggi. Resta il fatto che due millenni fa il mondo era già una rete circolante di merci e di persone che si reggeva su un principio filantropico: l’accoglienza di chi fa naufragio. Ma oggi tutto è diventato più difficile. Si fa strada l’homo incertus, cioè nella società della paura si va alla ricerca di sicurezza e non si guarda in faccia a nessuno. C’è una incertezza interiore e una esteriore. All’esterno non danno sicurezza le istituzioni, la famiglia. La stessa politica sembra più occupata ad alimentare la paura che a debellarla. A livello interiore siamo senza profondità e, dunque, privi di quel cordone sanitario che ci consente di metabolizzare il male: siamo soli con noi stessi. Mentre l’ospitalità ci fa ritrovare l’altro e la possibilità di non lasciarsi sopraffare dal negativo.

La seconda questione è di carattere spirituale ed è un effetto delle migrazioni. Di fatto oggi si convive tra credenti cristiani di differenti confessioni l’uno accanto all’altro. E quel che è più interessante, agli occhi di molti siamo cristiani e basta senza troppe distinzioni. Quel che per noi è ancora motivo di divisione, ma all’esterno, in un mondo post-religioso, appariamo tutti appartenenti allo stesso universo spirituale. Di qui l’esigenza di ritrovare nel concreto l’unità nella diversità, che non è un problema, ma semmai una ricchezza. In concreto, alimentiamo le occasioni di incontro tra cristiani e vediamo anche insieme di affrontare problemi con la stessa sensibilità cristiana. Per cominciare, il prossimo primo febbraio condivideremo la prima pietra della nuova chiesa ortodossa a Campoloniano. Sarà festa anche per noi cattolici!