Venerdì Santo

(Is 52, 13-53, 12; Sal 31; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1-19, 42)
02-04-2021

«Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe». Gesù muore prima degli altri due crocefissi. Mentre per i Romani l’ostensione macabra dei crocefissi funzionava come deterrente, la legge dei giudei prevedeva che i morti fossero tirati giù nello stesso giorno. Per questo ai due ladroni ancora vivi spezzano le gambe per accelerarne la morte. Già questa diversa sensibilità mostra un differente rapporto con la morte. Per i romani la morte è niente. Per i giudei i cadaveri meritano rispetto perché si tratta pur sempre di uomini.

Oggi adoriamo la Croce di Gesù Cristo non perché sia una perfida invenzione per indebolire ed annichilire il nemico, ma perché la coscienza della morte è ciò che ci rende umani.

Siamo meno umani, ad esempio, se le centinaia di morti da Covid passano nel dimenticatoio come non esistessero. E’ una rimozione che denuncia una perdita di sensibilità, oltre che di responsabilità.

Siamo meno umani quando ci illudiamo di essere a-mortali, visto l’allungamento dell’età media che dall’800 è aumentata di una trentina d’anni. Si finisce così col perdere il senso del limite e non ci si ferma davanti a niente e a nessuno.

Siamo meno umani quando scartando la morte è come se cancellassimo le diverse stagioni della vita, come se fossimo dentro una interminabile adolescenza che non si prolunga mai nell’età adulta. C’è perfino una correlazione tra declino della mortalità e della natalità perché sembra che fare spazio ad altri sia una specie di autodistruzione. Mentre la vita si perpetua solo donandola.

Al di là di ciò che pensiamo la morte continua imperterrita il suo lavoro. Come scriveva Epicuro (III-IV secolo a.C.): «Contro tutte le altre cose è possibile procurarsi una sicurezza, ma a causa della morte, noi, gli uomini, abitiamo una città senza mura». Gesù muore anche fisicamente fuori dalle mura della Città. Vogliamo starcene in silenzio davanti a Lui per ritrovare la coscienza della vita e della morte. E per intravvedere nel dono del suo amore il presagio della resurrezione. Accogliere la vita mortale è la premessa per vivere la morte vitale dell’amore ‘senza misura’.

«Ecco il vessillo della croce, mistero di morte e di gloria: l’artefice di tutto il creato è appeso ad un patibolo. Un colpo di lancia trafigge il cuore del Figlio di Dio: sgorga acqua e sangue, un torrente che lava i peccati del mondo. O albero fecondo e glorioso, ornato d’un manto regale, talamo, trono ed altare al corpo di Cristo Signore. O croce beata che apristi le braccia a Gesù redentore, bilancia del grande riscatto che tolse la preda all’inferno. Ave, o croce, unica speranza, in questo tempo di passione, accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace. Amen».