Veglia di Pentecoste

(Gl 3, 1-5; Sl 104; Rom 8, 22-27; Gv 7,37-39)
03-06-2022

La restituzione dell’Ascolto dice che quando esso è autentico, non è mai senza conseguenze. Ascoltare, infatti, non è esercizio passivo o distratto, ma creativo e propositivo. Ora se la Chiesa si pone in ascolto riscopre facilmente che è Ecclesiam suam (Paolo VI, 6.8.1964). Il che vuol dire che non è “mia”, non è “nostra”, ma è “sua”, cioè di Gesù Cristo. Ritrovare questa coscienza significa accorgersi che la “speranza” (cfr. Rom 8,24) abita in noi grazie allo Spirito che “intercede con gemiti inesprimibili” (Rom 8, 26). E quando qualcuno offre speranza diventa immediatamente interessante.

C’è una seconda questione che l’ascolto suscita ed è il rinnovamento. La riforma non è sognare un’altra Chiesa, ma una Chiesa sempre più vicina a Gesù Cristo. Non si tratta di un’operazione di maquillage, di una tinteggiatura superficiale, una specie di ‘romanella’, ma si tratta di avere “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5). Il Signore non è un personaggio del passato, ma è una persona contemporanea, anzi, la “via nuova e vivente” (cfr. Eb 10,20) da percorrere insieme, senza farsi sopraffare da paura, stanchezza, delusione.

Infine, c’è un’ultima questione che solleva l’ascolto ed è il dialogo. Paolo VI ne elenca quattro caratteristiche: chiarezza, mitezza, fiducia, prudenza. Chiarezza, innanzitutto, perché se il linguaggio è oscuro il Vangelo diventa incomprensibile. Poi mitezza, cioè la delicatezza per cui la fede è sempre una proposta e mai un’imposta. Quindi, fiducia tanto nella forza del Vangelo quanto nell’apertura dei cuori. Infine, prudenza, cioè l’intelligenza per capire l’altro e mettersi nei panni dell’altro. Cercare il dialogo in un mondo in cui cresce l’intolleranza e la chiusura è un invito potente ad alimentare relazioni aperte e rispettose che consentano di uscire dall’isolamento.

Il prossimo Incontro Pastorale (9-10 settembre 2022) sarà dedicato ad individuare cristiani consapevoli e corresponsabili per una Chiesa “tutta ministeriale”. Non basteranno inviti persuasivi, né strategie di reclutamento, né tantomeno corsi intensivi di pastorale. Ci vorrà, anzitutto, un grande e rinnovato amore per Colui, cui la Chiesa appartiene. Come si ricava da un frammento di una preghiera di S. Paolo VI: “Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli. Amen!” (GB. Montini, Lettera pastorale, 1955).