Un Natale con molte sorprese

Incontro operatori pastorali, Avvento 2020
22-11-2020

1. La paura e la meraviglia

Il Covid-19 – inutile negarlo – oltre che un’emergenza sanitaria rinvia ad una esperienza ancestrale che è la paura. Anche quando non si trasforma necessariamente in psicosi collettiva. Nella lingua dei greci, peraltro, la paura conosce due parole distinte: phobos che è il terrore panico e thauma che indica un turbamento che sconvolge, lo sgomento di fronte a qualcosa che meraviglia e insieme spaventa. Per interpretare il momento nel quale siamo immersi dobbiamo far ricorso a tutti e due questi significati.

Il virus ha portato alla scoperto la paura radicale che ci si affanna tutti a censurare e, cioè, la paura della morte. La società ipertecnologica l’aveva rimossa. La pandemia l’ha ricollocata al centro della giornata di ciascuno, quando il bollettino serale inchioda al trend del contagio. La paura è tutt’uno con una allergia che avevamo contratto: l’incapacità di riconoscere la nostra fragilità. Senza tematizzarla, questa carenza ha prodotto una società che non conosce limiti e che al solo pensiero che ci si possa  o debba autolimitare grida allo scandalo. La malattia virale, per contro, costringe a negoziare libertà con sicurezza e presto a rivedere i nostri stili di vita.

La paura – nell’altro significato – genera pure  la “meraviglia”, cioè attiva un sguardo altro sulla realtà. In particolare, la meraviglia va oltre quella logica a compartimenti stagni che ha caratterizzato la nostra epoca. La crescente specializzazione scientifica, infatti, ha perduto l’approccio olistico, che non consente di separare sviluppo economico, sociale, culturale ed ambientale. “Credevamo di essere sani in un mondo malato”, è stato detto non senza efficacia da papa Francesco. Il che non rileva soltanto l’ingenuità di una generazione, ma mette avanti agli occhi la strada da percorrere. Che è quella di trovare un nuovo equilibrio tra individuo e comunità, superando quello ‘scisma’ che si è prodotto in nome del “si salvi chi può”, o più banalmente, del “io speriamo che me la cavo”.

Da questo punto di vista, “cosa sarà” è difficile dirlo, ma di sicuro la pandemia segna una cesura netta tra quello che è stato finora e quello che sarà dopo. Occorre da subito cominciare ad esplorare con uno sguardo diverso le dimensioni decisive della vita: la salute, in primo luogo; il lavoro, la scuola, la comunicazione, la politica, la fede. Ma senza perdere di vista che “tutto è connesso” e per questo distinguere ciò che conta da ciò che è superfluo. Allora la paura più che nel panico che paralizza si trasforma in una azione che libera. Con realismo dobbiamo prendere atto che siamo ancora nel bel mezzo di una crisi sistemica, dalla quale verremo fuori solo a condizione di trasformare il panico in responsabilità.

La responsabilità nasce dalla fratellanza

La struttura del testo di Fratelli Tutti(FT)

Se osserviamo la struttura del documento vediamo che, dopo una introduzione segnata dalla luce che proviene dal modello di San Francesco – che ha ispirato, oltre a questo testo, il testo di Laudato sì –il testo legge la realtà con le sue ombre (cap.1), si lascia ispirare da un testo biblico (cap. 2) e poi formula il cuore del suo de amicitia et de fraternitate nel cap. 3. Di qui discendono una serie di importanti conseguenze che occupano il resto del testo (capp. 4-8). Ecco l’indice, già di per sé significativo:

  • Introduzione (1-8)
  • Capitolo Primo: Le ombre di un mondo chiuso (9-55)
  • Capitolo Secondo: Un estraneo sulla strada (56-86)
  • Capitolo Terzo: Pensare e generare un mondo aperto (87-127)
  • Capitolo Quarto: Un cuore aperto al mondo intero (128-153)
  • Capitolo Quinto: La migliore politica (154-197)
  • Capitolo Sesto: Dialogo e amicizia sociale (198-224)
  • Capitolo Settimo: Percorsi di un nuovo incontro (225-270)
  • Capitolo Ottavo: Le religioni al servizio della fraternità nel mondo (271-287)

Faccio tre citazioni rilevanti

  1. “Questa è la sfida attuale, di cui non dobbiamo avere paura. Nei momenti di crisi la scelta diventa incalzante: potremmo dire che, in questo momento, chiunque non è brigante e chiunque non passa a distanza, o è ferito o sta portando sulle sue spalle qualche ferito” (FT 70)
  2. “A volte mi rattrista il fatto che, pur dotata di tali motivazioni, la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù e diverse forme di violenza. Oggi, con lo sviluppo della spiritualità e della teologia, non abbiamo scuse. Tuttavia, ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi. La fede, con l’umanesimo che ispira, deve mantenere vivo un senso critico davanti a queste tendenze e aiutare a reagire rapidamente quando cominciano a insinuarsi. Perciò è importante che la catechesi e la predicazione includano in modo più diretto e chiaro il senso sociale dell’esistenza, la dimensione fraterna della spiritualità, la convinzione sull’inalienabile dignità di ogni persona e le motivazioni per amare e accogliere tutti” (FT 86).
  3. “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. Benché queste siano condizioni di possibilità, non bastano perché essa ne derivi come risultato necessario” (FT 103)

Libertà ed eguaglianza sono necessarie, ma non sono sufficienti. Questo è la virtù e il vizio del mondo moderno: di avere molto sviluppato la libertà e la uguaglianza, ma di faticare molto a cogliere le logiche della fratellanza, senza la quale non vi è né vera libertà, né vera uguaglianza. La prima orienta all’individualismo, la seconda alla omologazione. Pertanto si tratta di “dare radice” alla libertà e alla uguaglianza, che non stanno all’inizio, ma nelle conseguenze di una “amicizia sociale” e di una “fratellanza univarsale”. Si potrebbe dire che Francesco non rinuncia affatto ad abitare il mondo moderno. Ma vuole innestare la libertà e l’uguaglianza nella fraternità, non viceversa.

3. Idee “ingenue” sulla vita ecclesiale post-Covid -19

Se dovessi richiamare alcune “idee ingenue”, in grado di migliorare la vita ecclesiale anche della più ‘scalcagnata’ delle parrocchie delle periferie, vorrei far riferimento a quattro “conversioni” da attuare.

  1. La prima è una conversione sociale. La provocazione di papa Francesco sulla questione più profonda del nostro tempo è la seguente: l’idea che ha alimentato la crescita degli ultimi secoli – quella secondo cui il semplice perseguimento dell’interesse individuale e la nostra capacità tecnica sono sufficienti per creare ricchezza collettiva – si rivela sempre più inadeguata. Al punto in cui siamo, è necessario un cambio di passo che inquadri sempre meglio il singolo dentro la propria comunità di appartenenza; la parrocchia all’interno del contesto socio-culturale in cui è inserita. Una parrocchia è tale non solo per la chiesa che la identifica, ma anche per il territorio dentro cui vive ed opera.
  2. L’altra conversione è quella culturale che segna il passaggio dalle cose alle relazioni. Il mondo di prima funziona come  il gioco dei Lego: anzitutto ci sono le cose (sostantivi), poi ci sono le proprietà delle cose (aggettivi) e infine i comportamenti delle cose (verbi). Nel mondo di oggi non basta più funzionare. Occorre ancor prima esistere e si impone la relazione che guarda al mondo come a una rete, non come ad un meccanismo. In chiave ecclesiale si comprendono alcuni assiomi di Evangelii gaudium come, ad esempio, che “il tempo è superiore allo spazio”, oppure che “non dobbiamo occupare posti, ma avviare processi”.
  3. La terza conversione è ecologica ed ha a che fare con il passaggio dal fare al contemplare. Il che consente di ritrovare uno sguardo autentico che cambia il nostro approccio. Siamo troppo schiacciati su programmi da definire o agende da attuare. L’invito è quello di “rompere tutti gli specchi di casa” (Papa Francesco alla diocesi di Roma) e cioè sottrarsi all’autoreferenzialità, aprendosi ad una capacità di guardare oltre il proprio naso. Qui l’accento è posto su una nota distinzione aristotelica tra “agire”, dare un senso, una direzione di marcia al proprio stare al mondo, e   “fare”, limitarsi ad eseguire un compito.
  4. La quarta conversione è quella pastorale e cioè il passaggio da un’impostazione prevalentemente maschile a una molto più femminile, cioè passare dal potere alla cura. La chiesa ha dimenticato la sua originaria dimensione terapeutica che è una componente non secondaria dell’evangelizzazione se è vero che il Maestro inviando i suoi dice loro: “Curate i malati e dite: è vicino a voi il Regno di Dio”. Di qui la necessità di ritrovare la concretezza, la dedizione e il disinteresse del genio femminile per condurre la chiesa verso uno stare al mondo più vicino alla cura che al controllo.

Perché san Francesco per rappresentare la nascita di Cristo chiese soltanto un po’ di fieno  e un bue e un asino vivi? Per ricondurre tutto all’essenziale. La vita si trasmette con la vita e oggi in piena pandemia è un richiamo a salvare l’essenziale per poi riprendere a vivere con una nuova consapevolezza che fa della fratellanza la nostra segreta identità. Da quando Dio si è fatto uomo è più facile crederci.