«Sulle tracce del Risorto» (5)

Lectio divina del vescovo con i giovani. Rieti, chiesa di Santa Chiara (Gv 14, 23-29)
29-04-2016

Premessa

Esattamente come oggi, 25 anni fa, moriva, mentre stava confessando uno dei tanti giovani che ha incontrato nella sua vita, p. Mario Rosin. Era un gesuita ed è stato il mio accompagnatore spirituale. È colui che mi ha introdotto nella lettura della Parola senza fare da schermo, ma aiutandomi a sviluppare una relazione cosciente ed affettiva con Dio. Soprattutto mi ha insegnato che con Dio non servono intermediari e che la preghiera è la strada per incontrarlo a tu per tu. Per questo è necessario ritagliarsi sempre uno spazio di tempo oggettivo per provare ad incontrarlo, sapendo che Lui agisce in noi prima ancora che ce ne rendiamo conto e che si tratta solo di rendersene conto e di sviluppare tutte le dinamiche dell’affettività. Ha lasciato scritte alcune sue poesie che ritraggono al meglio il suo pensiero lucido ed essenziale, ma anche il suo cuore aperto e sensibile, nonostante fosse piuttosto timido e riservato. Ne leggo una per introdurci alla lectio di questa sera, perché mi sembra calzante con il brano che andiamo ad ascoltare. Si intitola I miei compagni di preghiera e ritrae lui che, mentre prega, ode a distanza ravvicinata la musica di qualche macchina parcheggiata poco lontana dalla sua stanza al Collegio Leoniano di Anagni.

«Nel silenzio
della mia preghiera
solitaria
s’infiltra
vellutata di lontananza
la voce ondeggiante
d’una canzone
d’amore…
Vi trema dentro
il fremito d’una passione
la gioia di un abbandono
il sospiro d’un tormento.
Così, Signore
Il mio silenzio
Che adora
Si fa più intenso
Si fa più immenso
Nell’eco di un mondo
Che Ti cerca
Senza trovarti
Che ti ama
Senza pensarti».

Lectio

Contesto

Il brano si inserisce nel capitolo 14 di Giovanni che descrive le ultime parole del Maestro prima della sua passione e morte. Colpisce lo stato d’animo del Maestro, che nel mentre rincuora gli altri sembra rincuorare ancor prima se stesso, perché è diviso tra l’attesa del suo ritorno al Padre e il turbamento per l’abbandono dei suoi amici. Ciò che sta al centro però non è tanto la partenza di Gesù quanto il suo ritorno. Non c’è solo il ritorno di Gesù alla parusia, cioè alla fine dei tempi, ma anche quello nell’oggi, percepibile nell’esperienza della fede. E in particolare nell’esperienza dell’amore, nel dono dello Spirito Santo, nella pace.

L’amore è il cuore del Vangelo, ma facendo attenzione alle sue mille sfumature che rischiano di portarci fuori strada. Perché dietro questa parola si cela di tutto ed è importante cogliere quali siano i presupposti necessari secondo il Maestro. Rilevante è percepire come la partenza di Gesù susciti nei suoi una serie di interrogativi di cui si fanno interpreti nei versetti precedenti Tommaso, Filippo e Giuda, non l’Iscariota. Il primo dice: «Non sappiamo neppure dove vai e come possiamo conoscere la via?». Il secondo: «Signore, mostraci il Padre». Il terzo: «Signore, per quale motivo ti manifesti a noi e non al mondo?». Dietro queste domande si coglie una paura, un’ansia, uno sconforto che preludono al senso dell’abbandono da parte del Maestro, che lascia i suoi in balia di una situazione inedita senza certezze. La paura di perdere un rapporto importante genera una serie di reazioni incontrollate che vanno dall’ira, all’insicurezza, dalla follia alla depressione. La resistenza che i tre fanno all’annuncio della sua partenza è, a ben guardare, un’espressione dell’amore, dell’amicizia che li unisce a lui. Gesù sa bene che deve offrire ai suoi una risposta a questo stato di cose, perché possano i suoi discepoli continuare a camminare anche dopo che lui non ci sarà più fisicamente.

Testo

«Se uno mi ama osserverà la mia parola; il Padre mio lo amerà e verremo da lui e faremo dimora presso di lui» (v. 23). Per Giovanni il comandamento è al singolare, come la parola, perché è riconducibile sempre e soltanto all’amore fraterno. È questo amore concreto l’epifania di Dio. Non va cercato chissà per quali vie, né può essere confuso con qualcosa di mistico che avviene all’improvviso. Passa per la via quotidiana dell’esperienza umana dell’amore. E la conferma sta in quella promessa che Gesù fa, che rintuzza anche la richiesta di Giuda, che vorrebbe una manifestazione pubblica e visibile di Dio per rassicurare la loro incertezza. La differenza tra i discepoli e il mondo sta nella capacità di amare. Solo questa cosa è capace di sottrarci all’uomo carnale e percepire la presenza di Dio. Soltanto chi ama sperimenta che la partenza di Gesù è il suo ritorno. Come nell’esperienza umana il distacco può essere la strada per ritrovare in una forma più profonda quello che si ama.

Il v. 26 offre un altro spunto per concretizzare questa persuasione. «Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà quanto vi ho detto». Il termine Paraclito sta a dire colui che difende, cioè l’avvocato. Da che cosa? Difende dall’incredulità che farà seguito all’assenza del Maestro e dalle persecuzioni che si abbatteranno sulla prima comunità cristiana. Il primo Paraclito è Gesù. L’altro è il suo Spirito, che in assenza del Maestro consentirà due cose: insegnare e ricordare. In altre parole, lo Spirito è colui che farà comprendere quello che è successo e ricorderà tutte le parole del Maestro, che dopo la Pasqua acquisteranno un nuovo e più profondo significato. Come si potrà superare lo scacco della partenza di Gesù? Grazie allo Spirito e alla sequela. Più semplicemente grazie ad una più profonda intelligenza della realtà e grazie al vivere effettivamente la vita cristiana.

Infine, il v. 27 esplicita il dono che Gesù garantisce: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non ve la do come fa il mondo». La pace di Gesù non è a buon mercato, non è neanche il frutto della connivenza, cioè fondata sul peccato. La sua pace è anzi divisiva perché lacera il cuore e lo costringe a spezzarsi per l’altro. Non si tratta di un augurio, ma di un dono che viene dall’alto e che non modifica la realtà esterna, ma quella interiore. Perché può essere nascosta perfino nel suo contrario, cioè nelle persecuzioni, ma con la certezza della sua vittoria. La pace di Cristo non è una camomilla che ci tranquillizza e ci anestetizza, ma ci costringe a cambiare per affrontare la violenza con altro approccio.

Meditatio

Il tema che si è sviluppato fin qui è chiaramente l’amore e ciò che esso comporta. Stando ad una recente inchiesta, sarebbero ben il 40% i single nel nostro paese, intendendo non solo quelli che sono tali all’esterno, ma anche quelli magari in coppia, e perfino sposati, che mantengono una tale mentalità. Chi è il single? È colui che cerca ossessivamente di inseguire il sogno romantico dell’amore ben oltre l’adolescenza e si ritrova o nella solitudine più totale o nella confusione più becera, inanellando in modo quasi bulimico esperienze amorose una dopo l’altra. Stiamo parlando di quanti decidono di abbandonare la coppia semplicemente perché se ne è esaurita la fase emozionale più acuta e non sa dare alcun fondamento e prospettiva alla relazione. Un tempo la stabilità di un rapporto godeva di una certa rispettabilità sociale, anche se sempre si sono nascoste in esso relazioni extraconiugali. Il cambiamento della donna, la crisi del maschio, le diverse forme di lavoro oggi possibili, hanno scalfito la necessità di stare insieme e hanno indebolito la forza di un sentimento incontrovertibile, cioè l’amore, che è pure quanto di più cangiante ci possa essere. Il risultato è questa fragilità delle relazioni, che genera un tessuto umano sempre più decomposto di cui nessuno si dà pensiero, perché sembra un campo nel quale sia difficile poter opporre qualcosa. Lo tsunami emotivo però non lascia le cose come le trova e oggi cominciamo a percepire gli effetti di figli senza genitori, di uomini che dormono in macchina dopo la separazione, di donne al limite dell’esaurimento lasciate a se stesse. Dietro questa rincorsa dell’amore perfetto si nasconde la ricerca della felicità, ma non giova rinchiudersi in se stessi quanto aprirsi al dono della Parola che stiamo per ascoltare. Essa non censura una tensione umana così radicale come quella dell’amore.

Ricavo tre spunti per la nostra riflessione che si apre alla preghiera.

Gesù conosce i sentimenti e le emozioni degli uomini. Anzi patisce sulla sua pelle l’amore ed è in grado di interpretare lo stato d’animo dei suoi proprio a partire da quello che lui stesso sta provando. L’amore è la condizione che ci riconduce alla nostra umanità e ci restituisce al senso della nostra fragilità creaturale. Per questo oggi si tende a censurare il mondo degli affetti a qualcosa di semplicemente privato, mentre questi hanno una ricaduta forte nella nostra vita. Non è possibile separare questa dimensione emotiva da quella razionale. Certo bisogna distinguerla, ma dobbiamo riconoscere che sono interagenti. L’educazione affettiva resta un ambito sempre da coltivare perché è quella che decide del nostro equilibrio complessivo. Se uno non è maturo affettivamente, se cioè non è capace di vivere la responsabilità per gli altri, rischia di diventare presto o tardi un kamikaze. Come mi sento in questo momento? Ho decretato chiuso il mondo dei sentimenti? Ho deciso di abbandonarmi alle sensazioni e lasciar fare a quello che accade? Oppure mi sto cimentando con questa realtà consapevole di una maturità che deve sempre essere ricercata e coltivata?

Gesù promette lo Spirito come un Altro consolatore. Ciò significa che l’amore ha bisogno di altro, che non può essere solo il livello fisico o quello psicologico, ma la dimensione stessa di Dio. Perché dico questo? Perché sull’amore si rischia una lettura a compartimenti stagni. Lo si riduce solo a questione fisica, chimica e biologica. Oppure ad un complicato labirinto di sensazioni psicologiche in cui non si esce da sé stessi. È necessaria una terza dimensione, che è quella di Dio, che solo ci aiuta a venir fuori da questa prospettiva solo orizzontale. L’amore è eros, è filia, ma anche agape. In concreto, non basta la dimensione attrattiva del corpo, perché l’abitudine attenua le emozioni. E non basta neanche la semplice rielaborazione psicologica. Ci vuole anche lo Spirito, cioè una dimensione che allarga le maglie della nostra solitudine, che è poi la radice della nostra immaturità affettiva. Un certa solitudine è inevitabile, ma chi crede non è mai solo.

Infine Gesù dona la pace, che non va scambiata con l’apatia e la mancanza di sofferenze. La pace del mondo viene imposta dai vincitori ai vinti e a chi soccombe non resta che subire. Al contrario la pace di Gesù è la possibilità di vivere in serenità nonostante i problemi che ci attanagliano. Non è una pace a buon mercato perché richiede di convivere con una sana inquietudine. Anzi «finchè si è inquieti, si può star tranquilli».

Agostino, che era passato attraverso tutte le fasi dell’amore prima di incontrare Dio, ci ha lasciato una frase insuperabile, che ora siamo in grado ci comprendere meglio. «Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che tu perdoni, perdona, per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene» (Ep. Jo. 7,8).