Sant’Antonio di Padova

XI domenica del tempo ordinario (Ez 17,22-24; Sal 92; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)
13-06-2021

Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente”. Ezechiele vive con il popolo in esilio a Babilonia, ma non cessa di sognare Gerusalemme. E rincuora i suoi prendendo spunto da un tenero ramoscello che è piccola cosa, ma è destinato a trasformarsi in un grande albero. A pensarci è la metafora della vita umana che si accende da alcune infinitesimali cellule e cresce fino a diventare persona. Il problema è che si vedono sempre meno bambini in giro, non solo perché sono di meno, ma soprattutto perché sembra che il tempo della crescita, cioè dell’educazione, sia superato. L’idea ingenua è che si nasca già imparati, quasi adulti in formato bonsai e non si abbia bisogno di nulla. Un’istantanea fra tutte è la carrozzina rivolta non più verso la mamma, ma verso la strada. Ognuno è artefice di se stesso, senza dover entrare in relazione con nessuno. Ma così si finisce per creare dei bambini-adulti che rischiano di essere sopraffatti dal senso di abbandono. E per converso si moltiplicano gli adulti-bambini che non smettono di voler rimanere eternamente giovani e far posto agli altri.

Anche Gesù sviluppa una doppia parabola che ha al suo centro un piccolo seme che germina e cresce all’insaputa dell’agricoltore che lo ha seminato. “Come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”. O “come un granello di senape che… è il più piccolo…ma quando viene seminato cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Il Maestro usa un linguaggio modesto, quasi ingenuo, ma ci fa comprendere la potenza e l’energia della  vita. Quando, infatti, si semina bene si raccoglie di sicuro qualcosa di grande. Le cose di Dio, messe in rapporto alle dimensioni sociali, politiche sembrano insignificanti. Ma sono come il lievito che lentamente fa fermentare tutta la pasta con un processo inarrestabile che lascia stupefatti. E questo ci esonera dal calcolare gli effetti della nostra azione. A ciascuno è chiesto di fare responsabilmente la sua parte, confidando nel seme che “produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”.

Gesù, in realtà, sta parlando di sé e dello scandalo che produce l’insignificanza della sua missione che va verso l’insuccesso. Eppure in questo inizio umile si nasconde un’enorme potenzialità. Dobbiamo ritrovare questa visione e diventare visionari. Per questo occorre investire nell’educazione dei ragazzi e dei giovani, facendosi carico dell’altro con una presenza discreta e puntuale, con uno stile accogliente e con una capacità di promuovere il meglio che c’è. Senza dimenticare Dio che “non pianta alberi, ma getta semi”. Come ha fatto sant’Antonio che ha seminato attorno a sé la parola di Dio e ne sono venuti frutti di giustizia e di pace. Nella monotona ripetitività di ogni giorno quando seminiamo bene, stiamo costruendo il futuro.