Santa Messa del Crisma

(Is 61, 1-3a.6a.8b-9; Sal 89; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21)
31-03-2021

«Secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere». La sinagoga – dopo la distruzione del primo Tempio e per tutto l’esilio – costituì un’innovazione rivoluzionaria per l’antico Israele, cosciente che in ogni esodo è Dio stesso a seguire fedelmente la sua gente, dovunque è costretta a vivere. Durante la pandemia, privati inizialmente della liturgia e della prossimità, è successo qualcosa di simile anche a noi. Ci si è concentrati così sulla Parola, diffusa anche dai social, e si è ritrovata la dimensione familiare della chiesa. E’ stata, anzi, l’occasione per veder balenare la forma di una chiesa dove il ministero è di qualcuno, ma il sacerdozio è di tutti. Questa esperienza che vede tutti ‘sotto’ la Parola, come quel giorno a Nazareth non va frettolosamente accantonata. Essa è la condizione per imparare quell’arte dell’ascolto che è il principio della fede da cui scaturisce un altro ‘senso’, in mezzo ad una crisi economica e sanitaria, di cui si fatica a scorgere la fine.

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio». Le parole tratte dal rotolo del profeta Isaia acquistano sulla bocca del Maestro una evidenza concreta. E’ lui l’Unto del Signore, il Cristo appunto, chiamato a diffondere attorno a sé il buon profumo che viene da Dio. Ogni cristiano, e il pastore in primis, è chiamato ad essere “unto”. Si è “unti” – e la gente se ne accorge –  quando lo spirito di Dio penetra in noi, come olio sulla pelle, illuminandoci, tonificandoci, profumandoci. Senza l’unzione rischiamo solo di essere dei volenterosi che puntano sulle proprie forze e restano delusi. La gente ha fiuto nel cogliere in noi quel mix di dolcezza e di fortezza che è proprio degli uomini di spirito. Come quando Gesù viene strattonato dalla donna che soffriva perdite di sangue (Mt 9,20-22). Non bisogna aver paura di essere strumentalizzati, e perfino usati, se ciò giova ad alimentare la ricerca di Dio e la sete di trascendenza in un mondo sempre più piatto e asfittico. Ove per primi i ragazzi sembrano depressi e rassegnati.

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» Il tempo a nostra disposizione è soltanto quest’oggi. In questo momento significa fare i conti con l’incertezza di un tempo sospeso, oltre ogni ragionevole ipotesi. La tentazione è quella di passare ‘oltre’, rifugiandoci nel passato che non era poi così male. O nel futuro che sarà sicuramente diverso. Invece ci tocca “abitare” il presente. Non sono consentite fughe in avanti o ritorni all’indietro. Si tratta di resistere facendo leva sulla ‘chiamata’ che ci ha fatto decidere a diventare pastori. A questo proposito, non ho mai dimenticato le parole di Paolo VI: “Sapete che la chiamata del Signore è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce?” (Messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni – 5 marzo 1967).