Omelia per la solennità di Ognissanti

(Ap 7,2-4.9-14; Sal 23; 1 Gv 3,1-3; Mt 5,1-12a)
01-11-2016

«Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». Le parole della prima visione focalizzano l’attenzione sul sigillo (il tau) che risparmia dalla morte quelli che hanno rifiutato l’idolatria. È una visione che nei nostri giorni del terremoto infinito suona quasi una invocazione perché siano risparmiati ulteriore distruzione e spavento.

Non è facile credere al futuro in questo frangente di incertezza e di precarietà, scossi ogni minuto dalla possibilità della fine. E tuttavia la Parola di Dio apre uno squarcio nella nostra confusione lasciando intuire uno scenario nel quale i ‘servi di Dio’ vengono messi in salvo dalla furia devastatrice.

E, addirittura, si scorge nella seconda visione una folla sterminata di salvati che si ritrovano con Dio ormai lontano da ogni pericolo. Chi sono i servi di Dio? Sono quelli che mostrano di possedere due qualità che non sempre attribuiamo ai santi. Sono combattenti che resistono alle turbolenze e alle seduzioni del mondo. Non che siano già irreprensibili e privi di difetti, ma si ostinano a non rassegnarsi a come va il mondo.

Il santo è uno così. Come in questi giorni duri capita di vedere, incontrando persone piegate, ma non sconfitte, che cercano di rialzare la testa dopo l’ennesima paura. Non solo sono dei combattenti che scelgono la mitezza, la sobrietà, la condivisione e il rifiuto della violenza. Sono anche ostinati nell’affronto delle avversità senza cedere al vittimismo e alla malinconia.

Così vedo tanti papà e mamme che si protendono verso i figli piccoli per rassicurarli, oppure giovani che aiutano i più anziani che vivono le fatiche di un adattamento sempre stressante.

Il terremoto sta cambiando il nostro modo di vivere. Siamo più modesti e consapevoli della nostra fragilità. Abbiamo più forte il senso di un destino comune e soprattutto di un affidamento che va oltre le nostre orgogliose e presunte certezze.

Il cuore dell’annuncio è che siamo ‘figli di Dio’ e perciò consegnati nelle sue mani. Credere non distoglie dalla fatica di affrontare ogni nuovo giorno con le macerie del giorno prima, ma lascia intatta la speranza che questa condizione è provvisoria e riusciremo a venirne fuori insieme.

Per questo essi «sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello». Vogliamo affidarci all’Agnello che evoca la nostra condizione indifesa che Dio ha fatto propria in Gesù che ci libera dalla paura e dalla morte.