Omelia per la festa di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato

Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele (Ap 12, 7-12; Sal 137; Gv 1, 47-51)
29-09-2015

«Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago». L’Apocalisse è l’ultimo libro della Bibbia. La chiude, ma in realtà la apre alla sua vera prospettiva, che è mostrare come vanno le cose. Non si tratta tanto di uno scenario terrorizzante, che incute paura e nevrosi, ma piuttosto di una ri-velazione, che lascia trasparire il senso della storia. Questa non è destinata al caos e alla dissoluzione, ma ad un esito positivo, che passa attraverso le strettoie di una lotta antica e sempre nuova: quella tra il bene e il male. Nella visione di Giovanni, peraltro, i due principi non sono equivalenti: vi è uno scontro tra Michele e il drago, ma la vittoria è della luce. L’uomo rimane libero e deve solo decidere da che parte stare.

Basterebbe questa intuizione per prendere le distanze da tutte quelle visioni oggi assai diffuse, anche nella cinematografia d’Oltreoceano, che tendono ad inscenare una guerra dagli esiti incerti, quasi che il bene abbia la stessa forza del male. In realtà, il male ha il fiato corto e nonostante raccolga qualche vittoria, non riesce mai ad affondare definitivamente l’attesa del bene che c’è nel cuore di ogni uomo, anche il più malvagio.

È importante che chi come voi, uomini e donne della Polizia di Stato, è chiamato per professione a tutelare il bene comune, garantendo alla comunità incolumità e rispetto della legge, abbia sempre chiara questa percezione. Se il bene e il male fossero sullo stesso piano si avrebbe da temere, ma poiché il bene, identificato con l’arcangelo Michele e i suoi angeli, ha la meglio, si può star certi che la vita è custodita e benedetta.

Naturalmente questo non toglie che ciascuno debba metterci del suo. Infatti il testo dell’Apocalisse aggiunge che «essi lo hanno vinto…(perché) non hanno amato la loro vita fino alla morte». Cosa significa? Vuol dire che si resiste al male se non si mette l’amor proprio, cioè la propria vita, prima e sopra gli altri. La legge infatti si riassume in un solo comandamento: «Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te». Dentro questa massima, che è attribuita al Maestro, ma può essere condivisa da tutti, c’è la strada esigente del lavoro quotidiano di un tutore dell’ordine, che vigila su se stesso e quindi sugli altri. Il servizio di polizia non è sopra questa legge dell’altro ed anzi è sottomesso ad essa, se vuole garantire l’efficacia del suo compito. La gratitudine di tanti per il senso di tranquillità che la vostra presenza suscita, nonostante le difficoltà che state attraversando per la spending review che non risparmia nessuno, è la prima forma di ricompensa civile che dovete avvertire, specie nei momenti più delicati e difficili del vostro servizio.

Nel vangelo appena proclamato Gesù sta incontrando i suoi primi discepoli, quando gli viene incontro Natanaele, che aveva scorto sotto un fico. Alla meraviglia del discepolo che si sente riconosciuto, Gesù indirizza una parola impegnativa, introdotta dalle parole: «In verità io vi dico». Dice il Maestro: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». Si tratta di una promessa che lascia intendere ormai una continuità tra il cielo e la terra, quasi che, come nel sogno di Giacobbe, ci sia ormai una scala che congiunge i due piani. Ormai in Gesù Cristo non c’è più separazione tra alto e basso, tra cielo e terra, tra divinità ed umanità. Quello che l’incarnazione ha realizzato è confermato da tutti quei momenti in cui ci sentiamo accompagnati e quasi condotti per mano dagli Angeli. Essi lampeggiano e scompaiono dentro situazioni, circostanze, persone in cui comprendiamo di essere misteriosamente sorretti dall’alto (cfr. Sal 137).

Ecco perché gli angeli sono necessari. E così, senza quasi accorgercene, veniamo educati ad una conoscenza diversa da quella che si sviluppa in rapporto ai sensi. L’angelo necessario testimonia che non bisogna fermarsi a ciò che si vede e si tocca, che ci sono in cielo e in terra molte più cose di quelle che passano per la nostra testa. E che quindi bisogna guardare alla vita con ben altra profondità e levità. Infatti, grazie agli angeli «raccogliamo disperatamente il miele del visibile, per custodirlo nel grande alveare d’oro dell’invisibile» (Rainer Maria Rilke).