Omelia nella IV domenica del Tempo di Avvento

Ingresso di don Stanislao Puzio nella parrocchia di Ognissanti in Casette
18-12-2016

“Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di licenziarla in segreto”. A sorpresa, alle soglie del Natale, ci viene incontro non Maria, come sarebbe ovvio aspettarsi, ma Giuseppe. Così almeno nella versione di Matteo, a differenza di Luca. Se si mettono insieme questi due quadri si scopre non una contraddizione, ma una dilatazione: l’annuncio di un figlio è fatto sempre, anche in questo caso eccezionale, ad una coppia ed è rivolto sia all’una che all’altro. In questa pagina ci è dato di intuire qualcosa dell’amore vero, non di quello patinato che circola nei media e nelle chiacchiere da bar. Giuseppe, benché innamorato, decide di lasciare la fidanzata non per sospetto, ma per rispetto. E’ silenzioso, avvolto nei suoi pensieri di uomo giusto, per bene. Il suo silenzio non è tanto segno di turbamento, ma segno di forza, di lavoro interiore, di dominio di sé. La gravidanza di Maria ha messo improvvisamente in scacco la storia che stava pregustando, eppure anche questa circostanza non toglie a Giuseppe la capacità di agire umanamente, cioè non si abbandona al generale disprezzo ma sceglie un’altra soluzione. Non si limita a quella che poteva sembrare una legittima reazione, sa resistere in silenzio. “Il più alto raggiungimento nella fede è rimanere in silenzio e far sì che Dio parli e operi interiormente”, ammonisce Maestro Eckart. E accade così che Giuseppe, il quale non smette di pensare a Maria, finisce per sognarla. Il sogno nel mondo antico era inteso come una ‘piccola profezia’ di Dio e anche nella lettura psicoanalitica è l’ambiente che fa emergere ciò che veramente ci sta a cuore senza più freni inibitori o reazioni condizionate. E così Giuseppe scopre di avere quella donna nel suo cuore, di amarla, anche senza volerla possedere. Ogni amore deve varcare questa soglia della verginità: passare dal possedere al proteggere l’amata. Certo questo richiede di saper morire a volte, ma è l’unica strada per vivere l’amore autentico. Certi amori possessivi, esclusivi, asfissianti liberano non più vita, ma morte. Li chiamiamo amori malati, ma sono solo immaturi.

Giuseppe, peraltro, ascolta non solo sé, ma anche Dio che dice: “Non temere”. La paura è principio di ogni fuga; è il contrario della fede, della maternità, del matrimonio. Giuseppe non ascolta la paura e diventa vero padre di Gesù, anche se non ne è il genitore biologico. Generare un figlio è facile, essere padre cioè amarlo, farlo crescere, farlo felice, insegnargli il mestiere di vivere, questa è tutt’altra avventura. Bastano pochi istanti per essere genitori, ma per diventare padri di vuole una vita. Giuseppe è padre fino in fondo. E anche don Stanislao che imparerete a conoscere e a voler bene sarà padre di questa comunità. La vita del credente, infatti, è comprensibile solo se c’è in essa qualcosa di incomprensibile.