Omelia in occasione dell’incontro con i presbiteri e i diaconi del terzo giovedì del mese

(Mc 7, 1.5-13)
18-10-2018

«Gli si radunarono intorno i farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme». Mentre il popolo accorre sinceramente da Gesù, farisei e scribi vengono da Gerusalemme per controllare il Maestro. Con questo brano si rientra nella serie delle controversie ma il punto focale di questa è capire la volontà di Dio, distinguendola da una serie di norme umane che rischiano di allontanare tanti che si sentono esclusi. La disputa prende avvio da una domanda: «Perché i tuoi discepoli non seguono la tradizione degli antichi e mangiano con mani impure?». La risposta di Gesù non affronta direttamente la discussione circa la purità rituale, ma la questione di fondo: il rapporto tra la tradizione umana e la volontà di Dio. Rifacendosi alla grande tradizione profetica, Gesù oppone l’adesione genuina alla volontà di Dio al conformismo falso: la prima nasce dal cuore, cioè dal centro della persona dove si maturano le scelte libere e coscienti, il secondo viene dalla pressione esterna dei modelli sociali che sfruttano la paura dell’individuo. Il comportamento conseguente della pressione sociale è l’ipocrisia: ci si adegua senza convinzione a delle norme e si cerca il modo di evaderle. In questo caso l’autorità di Dio viene manipolata e si finisce per fare esattamente il contrario di ciò che Egli vuole. Come dimostrano i duce casi presentati da Gesù: il comandamento divino circa i genitori e lo stratagemma del qorban. Se il precetto di onorare i genitori è ridotto ad una noma esterna, sarà facile aggirarlo come nel caso del qorban laddove di esonerava dall’obbligo di assistere materialmente i genitori perché le cose offerte a Dio erano intoccabili. E questa è la strada per rendere l’uomo impenetrabile alle esigenze della volontà di Dio. Distinguere tra la tradizione e le tradizioni è oggi decisivo anche per noi. Per almeno tre ragioni.

La prima è garantire la volontà di Dio che rischia di essere manipolata. La religiosità popolare è una forma religiosa ma tutti siamo avvertiti del rischio che possa trasformarsi in un consumo sfrenato e individualistico che fa il verso alla ricerca festaiola di momenti di massa.

La seconda è evitare che ci si divida in nome di cose opinabili e di perda la comunione su quelle essenziali. Quante volte le diversità di usi e costumi ha la prevalenza sul senso della missione comune che è l’evangelizzazione?

La terza è accodarsi alla pressione del momento e perdere la originalità della fede cristiana che contesta lo status quo: mi chiedo oggi se siamo capaci di dare una lettura evangelica dell’immigrazione o ci accodiamo a mainstream politico-mediatico.