Omelia in occasione delle esequie del sig. Gabriele Cavezzi

Mercoledì fra l’Ottava di Pasqua (At 3, 1-10; Sal 105; Lc 24, 13-35)
04-04-2018

«Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus». Ci sono due località in Palestina che portano il nome di Emmaus. Non sappiamo esattamente dove abitassero i due viandanti. Possiamo però immaginare che vanno via da Gerusalemme per una specie di fuga psicologica. Dopo tutto quello che è accaduto, sono ben contenti di andarsene altrove. Stanno proprio giù e vogliono lasciarsi alle spalle la delusione e lo sconcerto dei giorni della passione e della morte del loro Maestro. Anche noi vorremmo fuggire da un luogo dove si trova la morte, come Gabriele, all’improvviso e senza motivi apparenti. Se fuggire altrove è il primo impulso, non dobbiamo farci travolgere dalla fretta. E soprattutto non bisogna prendere con questo stato d’animo alcuna decisione.

«Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti dal riconoscerlo». Se non si fugge da se stessi. Accade l’imprevisto. Il misterioso viandante si avvicina e condivide il dolore, offrendo una rilettura originale dei fatti compiutisi nei giorni precedenti. L’augurio è che dopo questo tragico fatto si riprenda il dialogo specie con le persone ferite così gratuitamente. E si cerchi insieme di superare questo ennesimo momento di fatica. Solo in questo modo sarà possibile rimarginare una ferita assurda. Diversamente l’isolamento porta alla chiusura in se stessi e a rendere ancora più difficile la convivenza. Nel frattempo è urgente che si chiarisca la dinamica dei fatti e ciascuno si assuma la propria responsabilità. Si viene fuori anche da un colossale errore se si accetta di non mentire a se stessi e agli altri.

«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre lungo la via, quando ci spiegava la Scrittura?». La fede porta ad avvertire una presenza che rimette in cammino. La via della vita è piena di insidie e di opportunità. A Gabriele è toccato andarsene di fretta e in un modo così raccapricciante. Non sappiamo cosa è riservato a ciascuno di noi. Ma è chiaro che anche a noi è riservato questo momento decisivo. La preghiera è che in quel momento possiamo sentire la presenza di Dio che non ci fa sentire mai soli. Allora anche Gabriele non sarà morto da solo sul ciglio di una strada, ma misteriosamente accolto da Dio che non abbandona nessuno. Si comprende quanto grande sia il dono della fede che non modifica la triste realtà dei fatti umani, spesso così assurdi e contraddittori, ma vi inserisce una compagnia che riscatta la vita dal non senso e dall’ingiustizia.