Omelia in occasione della solennità della Santissima Trinità

(Dt 4, 32-34.39-40; Sal 33; Rom 8, 14-17; Mt 28, 16-20)
27-05-2018

«Sappi, dunque, oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro». Mosè – stando al libro del Deuteronomio – usa il “tu” volendo rivolgersi a ciascuno di noi e confidarci l’essenziale. Dio è lassù e quaggiù, è lontano e vicino, anzi è così lontano e così vicino! In una parola è un mistero. Il mistero è quello dell’amore dove la persona chi amiamo più è vicino più è lontano e viceversa. Al contrario, oggi si tende a schiacciare i rapporti in una vicinanza asfissiante o in una lontananza siderale. Il punto vero è vivere la tensione tra questi due estremi. Per chiarire il dilemma bisogna prendere sul serio le parole di Gesù ai suoi: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Sembra un paradosso: mentre sta per scomparire afferma la sua presenza. ‘Dio con noi’ è molto più che accanto a noi. Dice che si è fatto come noi, cioè ha assunto la nostra causa, le nostre paure, le nostre speranze. Dunque, oggi Dio non va cercato in visioni eclatanti o in esperienze eccezionali, ma nella vita di ogni giorno, in mezzo alle paure e ai problemi che non mancano mai per nessuno.
Credere significa avere questa certezza che non è mai acquisita una volta per tutte, ma ci accompagna lungo tutte le stagioni della vita e ci fa persuasi che siamo più di quello che facciamo o non facciamo, non siamo sballottati dalle circostanze più o meno favorevoli, ma in ogni situazione possiamo gridare: «Abbà! Padre!», come afferma Paolo con una parola scandalosa se riferita a JHWH. Se Dio è Padre, il Figlio è come Dio ci ama e lo Spirito Santo è come noi amiamo Dio. Siamo dentro un vortice di amore che ci distoglie da quella rincorsa agli idoli che ci fanno vivere infelici. Senza Dio la nostra vita è una “gabbia per topi”. Cioè, senza sbocco e fatalmente una guerra di tutti contro tutti. Credere, cioè avere il timor di Dio, è decisivo se non vogliamo essere ridotti ad un semplice assemblato biologico o ad un affastellamento di istinti. Siamo “figli” perché apparteniamo a qualcuno e non foglie al vento. Senza questa sicurezza affettiva è difficile districarsi nella vita.
«Fate discepoli tutti i popoli». Questo è l’invito del Maestro. Diventare discepoli mette al riparo da fatali delusioni. Infatti, credere nel Dio Trinità significa non solo scoprire qualcosa del mistero di Dio, ma anche capire chi siamo. Non atomi alla deriva, ma essere fatti per la relazione: con gli altri, con il creato, con Dio. Se smarriamo questa consapevolezza ci ritroviamo da soli. E non può che venirne il peggio. È stato detto: «dimmi in che Dio credi e ti dirò chi sei». Noi siamo fatti ad immagine del Dio di Gesù Cristo: Dio è unico, ma non solo. Così noi siamo unici, non formattabili, ma mai solitari perché sempre in relazione.