Omelia in occasione della Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

(Gen 14, 18-20; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9, 11b-17)
23-06-2019

«Melchisedech, re di Salem, offrì pane e vino». Dal cuore più arcaico della Scrittura emerge questa figura mitica, il cui nome è indecifrabile senza il riferimento a Salem, che significa pace. Il pane e il vino sono l’alfabeto mediterraneo, segni tangibili ed efficaci dell’ospitalità. Gesù, come nuovo Melchisedech, si riallaccia a questa esperienza ancestrale nel segno della condivisione più che della moltiplicazione dei pani. In effetti, quando l’uomo divide il pane resta umano. Per questo l’Eucaristia diventa la cifra di una logica che siamo chiamati a rendere presente «ogni volta… finché egli venga», seguendo le parole che Paolo memorizza per noi: «Questo è il mio corpo…Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue».

Il problema è che oggi l’Eucaristia rischia di essere un segno offuscato dall’abitudine e, ancor prima, dall’indifferenza. Ne è prova non solo la scarsa pratica religiosa, ma anche quel senso di assuefazione che si riflette nel volto dei residuali partecipanti. Non sembra di partecipare a qualcosa di essenziale e di vitale, ma soltanto ad un rito stanco e incomprensibile. C’è una via di uscita o, comunque, una via di fuga?      Sì, occorre ritrovare la fame e la sete di Dio! L’anoressia più insidiosa ai nostri giorni è quella di chi non avverte più il desiderio di Dio e si abbandona a dei surrogati. Qualcuno si rivolge agli alcolici e alle droghe. Altri si suicidano. Altri, ancora, trovano una parvenza di sicurezza nella ricchezza e nell’accumulo di beni. Qualcuno, comprensibilmente, ricorre allo sport, agli spettacoli o al sesso per distogliere l’attenzione dall’angoscia e dalle preoccupazioni della vita. C’è chi vagheggia un ritorno al passato, ancora chi nega la scienza e si affida di volta in volta a nuovi stregoni, rifiutando perfino i vaccini.

Il Corpus Domini ci offre tre cose: la parola, la lode, la comunità. «La parola zittì chiacchiere mie» (C. Rebora): ascoltare Dio ci aiuta a uscire dal chiacchiericcio e ci fa rientrare in noi stessi. La lode a Dio rende consapevoli delle tante opportunità della vita, senza lasciarsi assuefare alla lamentazione. La comunità, infine, sottrae all’isolamento che porta a vivere reclusi in se stessi, invece di condividere i pesi gli uni degli altri. Appena si risveglia il desiderio di Dio si riaccende anche quello del prossimo. Come chiede Gesù ai suoi: «Date loro voi stessi da mangiare». È un ordine che chiama in causa ciascuno perché la pasta umana possa lievitare verso il meglio. L’Eucaristia non risponde alla nostra fame appagandola semplicemente, ma spingendoci oltre noi stessi. Accendendo un’altra fame che conduce ad andare incontro agli altri, come faremo al termine di questa celebrazione attraversando la Città dietro al Pane eucaristico.