Omelia in occasione della Messa per il trigesimo del terremoto del 24 agosto

(Qo 11, 9-12,8; Sl 90; Lc 9, 43b-45)
24-09-2016

“Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i giorni tristi e giungano gli anni in cui dovrai dire: Non ci provo alcun gusto”. Qoelet è uno di noi. Non fa sconti alla realtà, ne vede i limiti, presagisce le disillusioni degli uomini, paventa il peggio. Gli resta però un soffio di vita che lo costringe a reagire. In questo interminabile mese che ci lasciamo alle spalle mi sono chiesto spesso che cosa ci direbbero quelli che non sono più tra noi. Non ho trovato una risposta puntuale, se non immaginaria. Ho percepito però un grido che sale dalle tante, troppe, vittime di questo evento catastrofico: non siate superficiali! Non separate mai la giovinezza dalla vecchiaia, l’istante dall’eternità, l’energia dal senso: in altre parole la vita dalla morte. E oggi ce lo ripetono sommessamente: non commettere l’errore di riprendere tutto come se nulla fosse accaduto! Qualcosa è cambiato e definitivamente. Ma non è l’ultima parola. “Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio”, ci ha fatto pregare il salmo 90. Di quale cuore si tratta? Di un cuore che sa ascoltare senza fretta il dolore che permane e logora tutti, introducendo a piene mani stanchezza, impotenza, rabbia. La saggezza, al contrario, ci fa lucidi, vigilanti, sobri. E ci invita a camminare rasoterra senza smettere di guardare in alto. Dobbiamo riprendere a camminare così. Lo dobbiamo, anzitutto, a questa bambina che sta per essere battezzata, ma anche a questi luoghi che già hanno conosciuto l’abbandono e non meritano il deserto.

“Ce la faremo?”. Questa è la domanda che serpeggia nell’animo di tutti i sopravvissuti. Nel Vangelo di Luca, il Maestro ben consapevole di ciò che lo attende incalza i suoi amici che sono distratti e indolenti con parole sferzanti:” Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nella mani degli uomini”. Sì, anche noi stiamo per essere consegnati nelle mani degli uomini. Più concretamente, nelle mani delle istituzioni che ci hanno assicurato che questi luoghi torneranno a vivere come e meglio di prima. Ma anche nelle mani di chi dovrà tradurre questo impegno senza lasciarsi fuorviare da altri interessi. E soprattutto nelle nostre mani che non possono restare inerti o nostalgiche, ma debbono ritrovare l’energia e la voglia di ricostruire insieme. Soltanto così il soffio vitale che c’è in ognuno di noi tornerà a far risplendere il sole su questa terra. Ne sono un presagio i nostri ragazzi e i nostri bambini, ancorché intontiti e paurosi. Così come li descrive Gianni Rodari: “Tra le tende dopo il terremoto i bambini giocano a palla avvelenata, al mondo, ai quattro cantoni, a guardie e ladri, la vita rimbalza elastica, non vuole altro che vivere”.