Omelia in occasione della Messa Crismale

Mercoledì della Settimana Santa (Is 61, 1-3a.6a.8b-9; Sal 89; Ap 1, 5-8; Lc 4, 16-21)
28-03-2018

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Con queste parole, Gesù provoca lo sconcerto tra tutti quelli che erano nella sinagoga di Nazareth. Tanto basta per suscitargli contro gli stessi che lo avevano accolto con curiosità e simpatia. È che la Parola di Dio non è mai parola morta, ma parola viva e, nel suo caso, addirittura vivente. Leggere la Parola, infatti, non è un atto inoperante e innocente; è liberare una forza che immediatamente entra in azione. Per questo la Parola di Dio è l’unica in grado di ri-unire la Chiesa e il nostro cibo quotidiano – insieme a quello materiale – è prestare ascolto ad «ogni parola che esce dalla bocca di Dio». È vero oggi la Parola di Dio sembra diventata rara: pochi sono quelli che la ascoltano, e ancor meno quelli che cercano di metterla in pratica. Ma ciò non toglie che a sostenere la nostra vita rendendola forte, trasparente e, perfino, interessante, sia soltanto la pratica della Parola.

Se questo è vero e, soprattutto se questo accade per noi, si capisce allora che la nostra azione non è tanto “produttiva” quanto “rappresentativa”. Attraverso un’azione produttiva siamo noi a fare qualcosa, cioè agiamo, modifichiamo, creiamo. L’azione del pastore e di ogni cristiano non è produttiva, ma “solo” rappresentativa perché rimanda a Gesù Cristo, il quale dice di essere inviato: «a portare ai poveri il lieto annunzio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi». Tutte azioni che non “producono” nulla di materiale, ma rappresentano beni di prima necessità: cioè la fiducia, la libertà, lo sguardo, la creatività. Oggi ancor prima delle difficoltà materiali, sono quelle immateriali che ci fanno girare a vuoto: non c’è fiducia in giro e la vita è vista più come minaccia che come promessa; non c’è libertà in circolazione, ma ci sentiamo in gabbia; non c’è uno “sguardo” profondo sulle cose perché nessuno va oltre il proprio naso; non c’è creatività, ma registriamo solo stagnazione e ripetizione. Per questo mai come oggi il profumo di Cristo è decisivo per purificare l’atmosfera pesante e viziata che si fa irrespirabile. Solo il Suo profumo fa superare d’incanto sia la nevrosi che l’indolenza pastorale, che sono le due facce della stessa medaglia. E cioè, il senso di avvilimento e di inutilità dato che ci sentiamo spesso ignorati, che è quasi peggio che essere contestati. Sembra qualche volta di essere diventati “invisibili”.

Tuttavia, magari fossimo “invisibili”, cioè mettersi da parte per dare spazio solo a Dio, con la Parola, i sacramenti, la carità. Così Dio potrebbe tornare tra gli uomini, come quel giorno nella sinagoga di Nazareth. E suscitare scandalo e speranza per rimettere in movimento l’esistenza di molti, anzi di tutti.