Omelia in occasione della festa di Santa Filippa Mareri – VI domenica del Tempo Ordinario (C)

Ger 17,5-8; Sal 1; 1 Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
17-02-2019

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno […] Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia». La contrapposizione che esce dalla bocca del profeta Geremia, trova conferma nelle Beatitudini di Gesù. A differenza dell’evangelista Matteo, le Beatitudini in Luca sono più personali, più concrete, più brevi, ma soprattutto sono costruite in antitesi con le maledizioni. Beninteso, Gesù non maledice nessuno, neppure i ricchi; ma mette in evidenza situazioni disgraziate, pericolose, negative. Del resto, chi potrebbe negare che oggi non tiene più la distinzione tra gioia e dolore, ma solo quella tra benessere e nevrosi. Il benessere causa la nevrosi e la nevrosi esaspera la corsa al benessere.

Gesù non vuole, comunque, beatificare la povertà, né maledire la ricchezza. Vuole piuttosto precisare dove porre la fiducia: non nella fragilità della carne, ma nella forza che viene da Dio. Non è la sua una mobilitazione politica per ribaltare l’iniqua condizione economica-sociale del suo tempo. Ma è l’apertura ad un’altra dimensione che consenta di vivere diversamente. Se c’è Dio, cioè la vita eterna, si capisce che non l’eccesso, ma l’eccedenza è la strada da seguire. La vita piena non è quella che accumula, domina, controlla, moltiplica, accelera, ingigantisce. È piuttosto la vita che si perde per ritrovarsi. Dunque, non ci si salva da soli, né per sé. Ci si salva insieme agli altri e attraverso gli altri. Questa è la via seguita dal Maestro e dopo di lui da santa Filippa. Quello che manca a noi rispetto al Medio Evo sono due cose: ci mancano san Francesco e Dante Alighieri. Manca la liberazione dall’avere che ci sta derubando dell’anima e ci fa diventare nevrotici del benessere. E poi ci manca il futuro, cioè l’al di là oltre il presente. A pensarci sono due le malattie più gravi: la prima è l’avidità e la seconda è il presentismo.

Abbiamo bisogno di santa Filippa e della sua esistenza alternativa che è fatta di libertà e di eternità. La vita non è kronos che divora i suoi figli, ma è kairos, che fa nascere la vita. Ecco perché santa Filippa è sempre giovane. Questa è la giovinezza che rende lieta l’esistenza. Non quella che pretende di bloccare il tempo e di replicare in forme patetiche la gioventù, ma quella di chi si impegna a far passare quel certo senso dell’esistenza che porta in avanti. Così si compie il passaggio di generazione in generazione.

Santa Filippa, dono del cielo per questa terra, figlia e madre del Cicolano, respiro profondo dell’Amore, presenza che parla al cuore senza parole, insegnaci ad ascoltare la Parola e a comprendere che la fede non allontana dalla storia, ma spinge con maggiore profondità nella vita. Che le tue figlie siano sole, ma non solitarie, prossime alla gente ed evangelizzatrici del Regno. Amen!