Omelia in occasione della festa di San Felice da Cantalice

(Col 3, 12-17; Sal 15; Lc 12, 22-31)
18-05-2018

«E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre». L’Apostolo esplicita l’atteggiamento che più di ogni altro caratterizza il cristiano: la gratitudine. Non è senza significato che San Felice fosse chiamato popolarmente frate Deo gratias perché qualunque cosa facesse o dicesse era sempre lieto e grato. Nel testo di Luca, appena ascoltato, è Gesù che esorta i suoi a non vivere con ansia perché la garanzia della vita non sta nella nostra disponibilità. E suggerisce la chiave per interpretare questa indifferenza rispetto alla pressione delle cose e alle preoccupazione dei beni e cioè: «Cercate piuttosto il suo regno». L’uomo, infatti, vive anzitutto di ciò che riceve, a cominciare dalla vita e non di ciò che costruisce da sé. Di qui lo stile di San Felice che per quarant’anni girò Roma in lungo e in largo facendo la questua.
Ma non è una visione assistenzialista da «reddito di esistenza» quella proposta dalla parola di Dio e incarnata da san Felice da Cantalice? Direi di no, a patto di osservare due cose e cercarne una terza.
La prima è: «Osservate i corvi: non seminano né mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli del cielo valete voi! Chi di voi, per quanto si affanni, può prolungare di un poco la propria vita?». I corvi e gli uccelli sono rapaci che mangiano a danno degli altri, direbbe qualcuno. Ma in realtà, l’immagine vuol dire che per quanto noi ci diamo da fare, la vita non dipende da noi. Non è l’accumulo che ci preserva, ma la serenità di vivere giorno per giorno. L’economia del nostro Paese è in deficit permanente. Ma poi si scopre che le rimesse in banca sono superiori ad ogni altra realtà. Le risorse ci sono, ma stanno nei granai. E imputridiscono. Invece bisognerebbe metterle in circolazione.
La seconda è: «Osservate come crescono i gigli: non filano, non tessono; eppure vi dico che nemmeno Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come uno di essi. Ora, se Dio veste così l’erba che oggi è nel campo e domani viene gettata nel fuoco, quanto più voi, gente di poca fede!». Concentrarsi sul possesso è miope perché vale di più condividere con gli altri. Anche perché non serve a nulla vivere nell’oro se intorno a noi è il deserto. Di qui la ricerca del bene comune prima di quello individuale.
«Cercate piuttosto il suo regno» diventa allora la strategia per non soccombere all’accumulo e al possesso. Riacquistando scioltezza e relazionalità. Come ha detto e fatto san Felice da Cantalice.