Omelia in occasione della festa della Madonna delle Grazie a Cantalice

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia (At 4, 32-35; Sal 118; 1 Gv 5,1-6; Gv 20, 19-31)
08-04-2018

«Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse loro: Pace a voi!». Più che interrogarsi su come Gesù attraversi le porte chiuse, conviene soffermarsi sul fatto in sé. Le porte chiuse sono il simbolo della paura in cui sono avvolti i discepoli. Questi sentono di essere stati tutti dei traditori e percepiscono la pressione di chi li ridicolizza e li minaccia. Gesù, tuttavia, non si ferma davanti a niente, anche se nessuno si aspettava più niente. A pensarci, anche noi siamo così. Ci richiudiamo in noi stessi, diventiamo sospettosi e paurosi, amplifichiamo i nostri limiti e le nostre incertezze. Viviamo male, come quella quindicenne di Torino, che non si sentiva abbastanza bella e ha pensato di farla finita sotto il treno. Fortunatamente interviene Gesù e dice: «Pace a voi!» e mostra «loro le mani e il fianco». Per dire che lo stesso che è stato crocifisso sta ora in mezzo a loro. Ma anche per assicurarci che le nostre ferite possono diventare delle feritoie attraverso le quali scorgere la vita da un altro punto di vista. Non si può evitare di farsi male e di star male. Ma non è la fine.

E infatti, Gesù soffiando su di loro, affida un compito: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui perdonerete i peccati saranno rimessi; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Lo Spirito è il “respiro di Dio” che ci restituisce l’aria per vivere anche a fronte delle nostre asfissie. Bisogna essere stati sott’acqua per sentire il bisogno di respirare a pieni polmoni. Noi siamo sott’acqua e dobbiamo risalire a respirare l’aria buona. E chi ce la può donare se non colui che ci ama senza condizioni e ci assicura che questa è la vittoria che vince il mondo, cioè la fede?

«Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente». Le esitazioni di Tommaso sono le nostre. Le sue incertezze sono le nostre. Ma anche il suo slancio di fronte alle ferite di Gesù può diventare il nostro: «Mio Signore e mio Dio!». Credere è scommettere che anche le ferite possono farci crescere e perfino il dolore può trasformarsi in vita, se diventa il segno dell’amore e non della rassegnazione. Allora le nostre disabilità più che inchiodarci ci costringono a inventare, creare, trovare soluzioni alternative per rappresentare la vita, invece di usare il solito pennello sulla solita tela, con i soliti colori. Credere è vedere al di là dell’orizzonte, non limitarsi ad osservare la realtà così com’è, come appare. Ha ragione un proverbio cinese: «Quando gli occhi sono aperti il risultato è la vista. Quando la mente è aperta, il risultato è la sapienza. Quando è aperto lo spirito, il risultato è l’Amore». Maria, la Madonna delle grazie, ci ottenga la vista, la sapienza, l’Amore.