Omelia della solennità del Natale del Signore

Basilica Cattedrale di Santa Maria, Rieti (Is 52,7-10; Sal 97; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18)
25-12-2016

Mi ha fatto sorridere una vignetta che ritrae il Bambinello che dall’alto del cielo scruta quel che accade sulla terra e, notando disastri in sequenza, compreso il nostro terremoto, dice tra sé: «Mi sa che quest’anno non mi conviene scendere».
Anche noi saremmo tentati di pensare che quest’anno Natale è impossibile. Già di solito siamo sospettosi contro questa ‘felicità a orologeria’ che dobbiamo esibire in queste ore. A maggior ragione dopo quel che è successo alla nostra terra che si è aperta in due. Ma chi l’ha detto che il Natale di Dio, non quello convenzionale, è una luce senza ombre?
Stando al monumentale prologo che abbiamo appena ascoltato emerge chiaramente un contrasto: «la luce splende nelle tenebre». Cosa rappresentano le tenebre? Tenebre sono il disorientamento, la mancanza di una direzione, di un perché convincente per tutto quello che facciamo e che siamo. Tenebre sono l’indifferenza, l’arroganza, la volgarità, la prevalenza delle ragioni pratiche su quelle ideali, e ancora tenebre sono la paura, la tristezza, la noia. Sono talmente tante che quasi ci convinciamo che Natale è solo una recita e che il buio è troppo fitto per credere alla luce.
Ma è proprio di questo che parla il prologo: «In principio», «presso Dio» «era il Verbo». C’è, dunque, prima di noi e indipendentemente da noi, un ‘senso’ che pro-voca e chiede un assenso. Anzi, addirittura, si arriva a dire «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Come a dire, la luce si è fatta tenebra per risplendere da dentro le tenebre.
«Ma le tenebre non l’hanno accolta», aggiunge sconsolato il testo giovanneo. Si può dire di no alla luce. Come quella giovane che al discorso caduto sulla fede replica annoiata: «Non mi piace». Tenebra è anche questa: una cultura che porta a liquidare il tema religioso in termini di ‘mi piace’ o ‘non mi piace’. Ma la luce non si arrende e si fa strada tra le pieghe della vita, anche dentro le reazioni più sconsolate e tragiche.
E ci offre un indizio da cui ripartire. Il miracolo della nascita. Come i 10 bambini nati ad Amatrice dopo il 24 agosto: Daniel, Diego, Claudio, Matilde, Giulia, Andrea, Antonio, Adriano, Samuele, Cristiana. Bisogna sempre tornare a fissare lo sguardo sull’inizio, sulla nascita, sulla novità. Che non è l’ultima applicazione tecnologica, ma è la vita umana che germoglia e si fa strada in mezzo alle nostre macerie.

A Natale Dio capovolge il nostro sguardo sulla realtà e ci fa sostare davanti al Bambinello che viene in mezzo a noi. Ci vuole il cuore dei pastori che vivono in simbiosi con gli animali di cui si occupano a tempi pieno. Il ‘pastore dell’essere’ è colui che sa curare questa relazione con la vita da custodire e da coltivare. E capire se siamo gente che aiutano a far nascere o a far morire.

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