Omelia della III domenica del tempo Ordinario (C)

Ne 8,2-4a.5-6.8-10; Sal 18; 1 Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21
27-01-2019

Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Quando Gesù pronuncia queste parole si fa improvvisamente silenzio nella sinagoga di Nazaret. Gesù ha circa 30 anni, è cresciuto nella bottega del falegname del paese, e da adulto, ‘figlio del comandamento’, legge la Parola e la commenta brevemente. Ciò che colpisce è che non fa nessuna attualizzazione moralistica, ma rimanda semplicemente ad un fatto, cioè alla sua presenza che porta a compimento l’attesa di Israele. Dio per parlare di sé si è fatto uomo. Noi ci perdiamo quando dobbiamo immaginare Dio, pensarlo in modo ragionevole, crederlo in azione nel nostro mondo. Ma la vera risposta alla domanda: “Chi è Dio?”, è Gesù di Nazaret. Si diventa cristiani quando smettiamo di parlare di Dio e parliamo di un uomo, di un volto, di un’esistenza singolare. Non ci resta che fare come i nazaretani: «Gli occhi di tutti erano fissi su di lui».

Ma come Gesù parla di se stesso? Come si presenta? Noi facciamo riferimento di solito alla nostra famiglia e, ancor più, alla nostra professione. Ma la nostra identità è altrove. Noi siamo, in realtà, i nostri desideri, le nostre nostalgie, le nostre speranze. Così Gesù si presenta. Non dice quello che ha fatto o di chi è parente, ma citando il profeta Isaia chiarisce i suoi sogni. Quali? “Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore”. Ci sono due dimensioni che balzano in evidenza. Gesù sogna due cose: portare il lieto annuncio e liberare dall’oppressione. Il lieto annuncio è Dio: Dio c’è, ma non sei tu. Rilassati! Evangelizzare i poveri significa ritrovare questa certezza: non siamo abbandonati a noi stessi e alle nostra false sicurezze. Apriamoci a Dio e abbandoniamo i nostri sogni di potenza. L’altra cosa è liberare gli oppressi, nel doppio senso di liberare quelli che col peccato si fanno male da soli e quelli che vivono in una condizione di minorità. Gesù non separa mai la salvezza dell’anima da quella del corpo perché il Vangelo non riguarda soltanto il rapporto con Dio, ma tutte le relazioni: con gli altri, con se stesso e, perfino, con l’ambiente naturale.

«Tutto il popolo piangeva», annota il brano di Neemia per descrivere la reazione della gente alla Parola di Dio. Ci sono gli obesi della Parola, cioè quelli che l’hanno ascoltata tante volte, ma mai che abbia prodotto uno scatto. E ci sono i gravidi della Parola, cioè quelli che si lasciano suggestionare da un sogno per il quale si impegnano con passione e con la vita. A quali di queste due categorie sentiamo di appartenere? Se usciamo da qui e nulla cambia vuol dire che non abbiamo compreso.