Discorso del vescovo ai medici in occasione della festa di San Luca

(2 Tim 4, 10-17)
18-10-2016

Nell’epilogo di questa lettera Paolo si lascia andare a una serie di ricordi personali che rivelano il forte impatto emotivo della sua condizione. L’apostolo è in carcere, verosimilmente a Roma. Si ritrova, dunque, isolato e per niente accudito. Potrebbe lasciarsi andare a una geremiade, invece, pur mostrando la sua sofferenza, non indietreggia rispetto al suo compito. Già solo questo atteggiamento è interessante. Oggi si parlerebbe di resilienza. Consiste nel risalire sulla barca dopo che le onde del mare l’hanno capovolta e riprendere con più sicurezza la navigazione. Non basta non soccombere, occorre rafforzarsi; non solo resistere, ma ritrovare uno slancio nuovo e ricevere in dono una sapienza inattesa.
Cosa serve: riconoscere il proprio limite, ci vuole realismo e flessibilità; poi tenere vive le radici, i legami, le speranze che nutrono la nostra interiorità e la capacità di fronteggiare le avversità. Infine, il senso dell’umorismo. Gandhi diceva che il senso dell’umorismo è l’asta che dà l’equilibrio ai nostri passi mentre camminiamo sulla fune della nostra vita.
Vengono in evidenza almeno tre aspetti della vicenda personale di Paolo. Si sente tradito dai suoi, percepisce la mancanza per quello che ha di prezioso e che sente di dover ritrovare, intuisce comunque la presenza di Dio che è il suo aiuto e la sua forza.
Vorrei applicare velocemente alla vostra vita queste tre condizioni.
La prima ha a che fare con la qualità dei nostri rapporti interpersonali sul lavoro. Si sa che l’ambiente professionale non è il massimo del relax e della fiducia. Molte volte ferite e tradimenti ci annientano nella nostra capacità di andare avanti insieme. Ciò nonostante occorre ritrovare questa sintonia sulle cose che contano, soprattutto se vogliamo affrontare la sfida della sanità oggi. Non si chiedono amicizie strategiche, né lobbies da coltivare, ma la serena accettazione dei compagni di viaggio, facendo di necessità virtù. Paolo non demonizza né stigmatizza i suoi ex compagni. Ne conosce i limiti, ma ciò non impedisce di ricercarne l’opera.
La seconda è la richiesta del mantello e dei libri, come a dire di alcune poche ed essenziali cose che fanno parte del suo necessario equipaggiamento. Il mantello dice della sua difesa dal freddo nelle umide carceri romane, i libri del suo investimento culturale. Abbiamo bisogno di garantirci un minimun per vivere noi e la famiglia, ma senza dimenticare il necessario aggiornamento che solo consente di vivere senza lasciarsi superare dagli eventi. Questa tenuta dei legami e insieme questa apertura e sana curiosità sono strumenti di resilienza per fronteggiare le avversità della vita.
Infine, la presenza di Dio è la fiducia di fondo che aiuta a venir fuori anche dalle condizioni più assurde. La fede non è solo un modo di guardare alla vita, ma anche l’antidoto alla rassegnazione e alla fuga. Ecco perché nutrire la propria fede è un aiuto anche alla nostra stabilità umana e alla magnanimità del nostro operare. Senza dire che solo Dio riscatta la condizione del fallimento e lo scacco della sofferenza dal suo non senso.
Realismo nei rapporti, cura dei legami e della propria formazione professionale, fiducia in Dio e nella vita, sono le tre possibilità che dobbiamo implorare nella preghiera. Allora la resilienza avrà un terreno concreto in cui esercitarsi.