L’attualità dirompente di Laudato si’, l’enciclica sociale che non smette di insegnare

Intervista realizzata da Valter Musso per Slow Food
19-06-2020

Cinque anni fa, era il 18 giugno 2015, veniva resa pubblica l’enciclica di papa Francesco Laudato si’. Un documento dirompente che evidenzia aspetti, per certi versi non considerati o marginalizzati, che invece sono essenziali per il nostro vivere come «ecologia integrale» (a cui è dedicato tutto il cap IV), «Tutto è connesso» (LS, nn. 117 e 138), oppure «Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale» (LS, n. 139). Un testo rivoluzionario che dopo cinque anni è ancora attuale a partire dall’insegnamento a leggere la realtà prestando attenzione alle connessioni tra le molte dimensioni: ecologica, economica, politica, sociale, culturale, etica, spirituale. «È una riconnessione tra l’uomo e il Creato, ristabilire un rapporto che si è interrotto forse anche per alcune precedenti interpretazioni della dottrina. Credere che l’uomo debba dominare la natura, e disporne a suo piacimento, non deve indurre a pensare che questo atteggiamento consenta ogni tipo di scempio. Se è pur vero che la natura umana è diversa da quella vegetale o animale, è altrettanto vero che il contesto in cui l’uomo è inserito è un sistema fatto di connessioni evidenti o nascoste, comprese o misteriose. Preservare, custodire e coltivare questo sistema è un nostro dovere perché è nel nostro interesse: sopravvivenza, esistenza, pienezza di spirito e, infine, pace. Gioia» scriveva nella prefazione all’enciclica, per le Edizioni San Paolo, Carlo Petrini.

«Il paradigma dell’ecologia integrale si rivela particolarmente appropriato per visualizzare e concettualizzare le modalità con cui si svolgono i processi di globalizzazione, con tutte le loro interconnessioni e trasversalità. Come risulta ancora più evidente di fronte al coronavirus, i vecchi paradigmi sono ormai superati e inadeguati, e la LS ce ne offre uno nuovo, di cui abbiamo grande bisogno. Innovare significa innanzi tutto pensare in modo nuovo, e non lo si può fare a partire da schemi obsoleti» (dalla rivista Aggiornamenti Sociali). Con questa enciclica papa Francesco voleva contribuire a cambiare la realtà, costruire una società che abbia a cuore uno sviluppo sostenibile e integrale, capace di coniugare la cura del Creato, della casa comune con la tutela della dignità degli esclusi e la lotta alla povertà, ma molto rimane ancora da fare.

Approfondiamo alcuni aspetti dell’enciclica con Monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti, presidente della Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali e, con Carlo Petrini, fondatore delle comunità Laudato si’.

Cosa ha rappresentato e rappresenta la Laudato si’?

La Laudato Si’ rappresenta un ulteriore passo in avanti nella comprensione del mondo che ha bisogno di uno sguardo non solo semplicemente tecnologico, ma di carattere contemplativo per essere inteso in modo profondo. Non credo sia stato ancora compreso questo approccio originale, ma sicuramente, soprattutto dopo la vicenda della pandemia, alcune delle sue considerazioni sono tornate prepotentemente alla ribalta perché hanno fatto comprendere che c’è una connessione inscindibile tra l’economia, la società, la politica e persino la cultura. Questo sta a dire che, sicuramente, a 5 anni dalla Laudato si’ molti debbono ancora affrontarla come lettura personale, ma alcuni suoi spunti più originali cominciano a far breccia fuori e dentro la Chiesa.

Siamo di fronte a un’enciclica dirompente, un’enciclica sociale e non solo ecologia come molti l’hanno voluta relegare?

Non siamo di fronte a un manifesto verde, ma siamo di fronte a un’analisi che muove da dati scientifici, fa riferimento all’ispirazione biblica per interpretare la casa comune entra nel merito alla vicenda ecologica dimostrando quanto sia legato questo tema allo sviluppo integrale dell’uomo. Naturalmente tutto questo ha un significato perché mai come oggi la tutela dell’ambiente più che essere dettata dalla paura o dal terrorismo psicologico deve essere la conseguenza del fatto che soltanto se sostenibile lo sviluppo può avere un futuro realistico, diversamente non andremo molto lontani.

“Tutto è connesso”: cosa significa?

Significa che dobbiamo superare definitivamente quell’impostazione scannerizzata della realtà che si è imposta in epoca moderna in nome di un malinteso rigore scientifico e ritrovare l’integralità di uno sguardo che sappia mettere in connessione le diverse istanze. Tutto questo in concreto significa persuadersi che l’uomo non è un’isola, ma una relazione con gli altri uomini e donne, ma ce l’ha anche con l’ambiente vegetale, con quello animale, con quello naturale. Riscoprire queste interrelazioni è la strada per comprendere che soltanto integrando queste diverse sfaccettature è possibile andare incontro a uno sviluppo che non sia semplicemente un incremento esponenziale dal punto di vista quantitativo, ma che sia qualcosa di più raffinato e per tutti.

Una ricorrenza che cade in piena emergenza sanitaria, economica e sociale: il cambio di paradigma proposto dalla Laudato Si’, potrebbe essere una buona base di partenza per risolvere queste emergenze?

Penso che la Laudato Si’ possa essere un utile percorso per far si che la constatazione che Papa Francesco ha felicemente condensato nell’affermazione che non si può vivere bene in un mondo malato, e non si può, cioè, avere la presunzione di stare bene in un mondo che si è ammalato, richieda necessariamente l’attenzione a un diverso processo di sviluppo. La Laudato Si’ offre innumerevoli spunti, ne cito uno tra gli altri, l’importanza dell’economia civile. Normalmente si ritiene, come il prof Zamagni continuamente ribadisce, che l’economia sia movimentata da due attori che sono lo stato e il mercato dimenticando la società civile che è la terza necessaria gamba di questo sviluppo senza della quale il rischio è quello di un’economia asfittica come abbiamo sperimentato. Il Covid ha azzerato la situazione economica e costringe oggi a ripensare anche in una prospettiva più attenta alla dimensione dell’economia civile il prossimo tempo che verrà.

Cosa seguendo gli insegnamenti dell’Enciclica l’uomo dovrebbe fare, anche alla luce di questa pandemia? E perché questa non rimanda una delle tante ricorrenze?

Dovremmo sicuramente uscire da quella mentalità che ci ha un po’ esonerati dalla nostra responsabilità verso il mondo creato, riscoprendo in realtà che il singolo fa la differenza. Non si può pensare che processi di riconversione accadano semplicemente per decisioni prese dall’alto. Normalmente nella storia i movimenti che danno a intendere una nuova prospettiva sono sparuta minoranza che riesce però, in virtù della bontà della propria impostazione, a contagiare progressivamente anche altri. Direi che da questo punto di vista la LS è un contributo interessante perché non si limita ad un’analisi, per quanto accurata della realtà, ma è in fondo una chiamata alla responsabilità che coinvolge, soprattutto nei due ultimi capitoli, le istituzioni, ma anche le famiglie e i singoli.

Cosa direbbe a una persona per invitarla a leggere l’enciclica?

La Laudato si’ è un testo che non ti aspetteresti perché il magistero fa riferimento a qualcosa di articolato, di complesso anche piuttosto accademico. Mentre, nello specifico, si tratta di un testo che intanto fa leva sull’analisi scientifica del problema per cominciare, e poi l’analisi che fa procede attraverso una riflessione che è sempre molto giocata sul piano esistenziale e quindi è molto coinvolgente: leggere per credere.

Il progetto Comunità Laudato si’ come sta andando? C’è secondo Lei una sensibilità crescente attorno ai temi dell’enciclica?

C’è una sensibilità che sta crescendo, lentamente, ben inteso, ma diciamo che sono due anni che questa proposta è stata fatta e circa una cinquantina di comunità sono già consolidate, dal nord al sud. Questo ci dice che c’è, probabilmente da tempo, una serie di persone che vogliono sperimentarsi nell’ambito dell’ambiente. Probabilmente abbiamo intercettato altre persone che volevano mettersi a disposizione di questa causa. Credo che la sensibilizzazione con il tempo è destinata a crescere. Ma direi che lo specifico delle comunità è innescare un processo virtuoso che fa leva non tanto sulla paura, ma quanto piuttosto su questa sorta di convinzione profonda che curare la casa comune è in fondo la strada migliore per curare se stessi. Quando questa idea diventa concreta tutto diventa più facile.

Papa Francesco ci esorta ad essere attivi, di fare iniziative, suscitare «una varietà di apporti che potrebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali» (LS, n. 60) e dello «sviluppo di una nuova sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli» (LS, n. 121). Di non aspettare facendo finta di non vedere quello che sta succedendo o piegarsi alla volontà dei potenti: «La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi» (LS, n. 61). Perché come scrive Carlo Petrini nella prefazione all’enciclica solo così «Ristabiliremo un rapporto armonico con la natura, ci sentiremo parte di essa, e niente ci sarà precluso, nella sobrietà, nella valorizzazione delle diversità umane e naturali, arriveremo anche a debellare la fame e malnutrizione e, compito ancor più grande, ritroveremo una pace tra tutti gli uomini e le donne, che ci restituirà un rinnovato senso, e un rinnovato piacere, di saper stare al mondo».