Incontro del terzo giovedì

(1 Cor 12,13)
20-05-2021

Incrocio la lettura breve dell’Apostolo con la pagina evangelica di oggi: “Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me” (Gv 17,23). La preghiera di Gesù guarda non soltanto ai discepoli immediati, ma a tutti quelli, che, grazie alla loro parola, crederanno in Cristo, cioè la Chiesa nella sua estensione storica e geografica. La preoccupazione fondamentale di Gesù è quella dell’unità. Questa unità chiesta da Gesù e ottenuta – perché la preghiera di Gesù è efficace – è il riflesso dell’unità trinitaria e perciò non è uniformità, ma comunione, comunione suscitata dall’amore. Quel che conta è comprendere che “poiché noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” l’unità della chiesa non è allora un semplice postulato, non è qualcosa che dovremmo “produrre” artificiosamente, non è un fine dell’organizzazione della chiesa. L’unità della Chiesa è in Cristo già una realtà.

Ciò non significa che nella chiesa non si dia anche la pluralità, come attesta sin dagli inizi il fatto che il Vangelo dell’unico Dio, dell’unico mediatore Gesù Cristo e dell’unico Spirito sia testimoniato dalla vicinanza carica di tensione tra il Primo e il Nuovo testamento e dalla forma che assume nei quattro vangeli. Alla tradizione, già abbastanza sfaccettata dei Sinottici e di Giovanni, si aggiunge, accanto agli altri scritti, il Corpus paulinum, che è a sua volta molto articolato, se si pensa alle differenze tra le lettere principali di Paolo, le cosiddette deutero-paoline (Efesini e Colossesi) e le lettere pastorali e la lettera agli Ebrei. Per non parlare delle tensioni tra ebrei e ellenisti (At 6,1), giudei e giudeo-cristiani (At 10ss.; 15), Pietro, Paolo e Giacomo (Gal 2), Pietro e Paolo (Gv 20,1-10). E poi i carismi sono i più diversi e non senza qualche tensione tra apostoli, evangelisti, servizi profetici e diaconali, pastori e dottori. Ma questo non fa che risaltare la convinzione che così come nessun granello di sabbia è uguale a sé stesso, così ogni essere umano è assolutamente singolare.

La pluralità non distrugge l’unità, se sappiamo vivere la “communio sanctorum” nella doppia accezione: sia nel senso della partecipazione ai sancta comuni (beni salvifici) sia nel senso della comunione di sancti (dei santi, cioè dei santificati). Tale unità nella pluralità ha di nuovo la sua immagine originaria e il suo fondamento ultimo nella speciale unità un Dio stesso. L’unità della natura di Dio si realizza concretamente nella trinità delle persone divine. L’essere di Dio non esiste, dunque, prima o al di sopra delle persone; queste non sono soltanto modi successivi di apparizione di Dio; l’unico essere di Dio è soltanto nelle relazioni di Padre, Figlio e Spirito. L’unità di Dio è comunione. Se non ripartiamo dalla relazione non si scioglie il rapporto di unità e molteplicità. Infatti “Tutto è uno, tutto è diverso”. “La pluralità che non arriva a essere unità è confusione; l’unità che non dipende dalla pluralità è tirannide” (B. Pascal).