Il presepe, non un simbolo, ma una storia

Discorso all'inaugurazione del presepe monumentale del maestro Francesco Artese sotto gli archi del palazzo papale
01-12-2018

Ogni anno a ridosso del Natale si scatena la solita polemica sul presepe: promosso da alcuni e vietato da altri. In realtà, sbaglia chi considera il presepe un simbolo di identità culturale e religiosa da contrapporre ad altre esperienze religiose. Il presepe è piuttosto la storia di un Fatto, di fronte al quale più che dalla polemica bisogna farsi coinvolgere dallo sguardo e dal silenzio. Si deve semplicemente tornare al Fatto per evitare di ridurre il Natale ad un generico riferimento al “Generale Inverno” o ad altre corbellerie.

San Francesco a Greccio, proprio qui nella Valle santa, durante la notte del 1223, volle appunto raccontare – come fosse la prima volta – quel Fatto che ha al centro un Bambino, che rivoluziona l’idea di Dio e quella del mondo. Dio che si rende presente in un infante nudo ed indifeso sovverte l’abituale concezione del trascendente e lascia intuire che chi vuole incontrarLo non ha che da diventare più umano. Sul piano sociale, poi, il Bambino è una colossale forma di cessazione delle armi e dei conflitti che avevano insanguinato la vicenda della chiesa e dell’Europa del Medio Evo.

Il presepe è una storia che mette in scena tante comparse – qui c’è pure la mamma del Maestro Artese – che aiutano a ritrovare il filo dell’umanità che non è fatta da influencer o da vip, ma da tanti volti che sfilano dinanzi al Bambino che li illumina e dona vita. Perciò viva ogni piccolo o grande presepe, ogni piccola o grande versione di una storia che ci dà speranza!

Per il nostro territorio questa storia diventa anche un modo per riprendere in mano la nostra vicenda avendo chiaro il cammino in cui siamo immersi. Occorre ritrovare insieme le ragioni di una collaborazione rispetto ai problemi e alle sfide che devono trovarci uniti. Solo in questo modo anche la piccolezza del nostro contesto non si ritorcerà contro e diventerà una freccia nell’arco di una comunità coesa e concentrata su ciò che è essenziale.

L’augurio si fa ora preghiera con le parole di un credente dei nostri giorni:

”Chi, alla mangiatoia, depone finalmente ogni violenza, ogni onore, ogni reputazione, ogni vanità, ogni superbia, ogni ostinazione,

chi sta dalla parte degli umili e lascia Dio solo essere grande, chi, nel bambino nella mangiatoia vede la magnificenza di Dio proprio nell’umiliazione,

costui festeggerà l’autentico Natale” (D. Bonhoeffer).