Omelia in occasione della Festa di San Francesco

Sir 50, 1,3-7; Sal 15; Gal 6,14-18; Mt 11,25-30
04-10-2018

«Come il sole sfolgorante così egli rifulse nel tempio di Dio». Pochi decenni dopo la morte di san Francesco, Dante Alighieri parlerà di quando “nacque al mondo un sole” (Paradiso, XI, 50). Ma vale anche per Francesco ciò che egli dice del sole naturale nel suo Cantico: di Dio Altissimo esso “porta significatione”.

Dunque, Francesco è solo un riflesso di Dio, una Sua parola, che va decifrata attentamente, distinguendo ciò che Francesco dice da quello che si dice su Francesco. Per risalire a lui e non alla sua volgata, ci restano tre lettere circolari indirizzate «a tutti i cristiani, religiosi, chierici e laici, maschi e femmine, a tutti coloro che abitano nel mondo intero»; un’altra «a tutti i chierici» e una terza «ai reggitori dei popoli».

A tutti i cristiani, Francesco rivolge un doppio invito: «Amiamo Dio e adoriamolo con purità di cuore e di mente». E lascia intendere che il cuore del cristianesimo è l’incarnazione. Di qui l’invito al distacco dalle cose materiali: «Gli uomini perdono tutte le cose che lasciano in questo mondo». In una società che comincia ad affrancarsi dal feudalesimo, segnata dal fenomeno della prima vera urbanizzazione e dal decollo commerciale dell’Europa, Francesco non si muove come un agitatore sociale, ma come uno che propone a tutti la sua libertà (cfr. Salmo). Una delle ragioni anche oggi dell’abbandono della fede è, infatti, quello che un nostro scrittore, ha definito «la maledizione della roba» (G. Verga).

Al clero, Francesco ricorda la reverenza del Corpo del Signore. I sacerdoti anche «se poverelli e peccatori» sono rispettati da Francesco per questa relazione quasi fisica con il santissimo Corpo di Cristo. E non basta per lui il decoro delle cose sacre, ma cogliere nell’Eucaristia non una cosa, ma la forma stessa della santità che consiste nell’auto-donazione. Questa è la santità che chiede ai preti: «Guardate l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori; umiliatevi anche voi, perché egli vi esalti. Nulla, dunque, di voi, tenete per voi; affinché vi accolga tutti colui che a voi si dà tutto» (FF, 221). Darsi tutto questa è la strada esigente del sacerdozio!

Infine, ai reggitori dei popoli, non fa riferimento al servizio che deve caratterizzare il loro impegno, ma li mette semplicemente di fronte a Dio: «Ricordate e pensate che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico allora con rispetto, per quanto posso, di non dimenticare il Signore, presi come siete dalle cure e sollecitudini del mondo». Pensando alla parabola di tanti potenti, oggi in alto e domani in basso, si coglie un sano realismo che impedisce di lasciarsi drogare dal potere che passa.

L’ultima parola di Francesco, ricondotto all’essenziale è questa: ”Io ho fatto la mia parte; Cristo vi insegni a fare la vostra”. Questo e non altro è l’impegno che ci assumiamo: fare la nostra parte, come Francesco ha fatto la sua.