Discorso del vescovo in occasione dell’incontro con i sindaci dei Comuni compresi nel perimetro della diocesi di Rieti

18-04-2018

Lo scorso anno nel nostro incontro annuale vi consegnai tre parole: silenzio, sogno, concretezza. Quest’anno vorrei suggerirvi tre impegni da condividere. Essi sono: l’appartenenza, la coerenza, la pazienza.

L’appartenenza dice che prima di ogni distinzione ideologica, c’è un tratto comune che è l’essere parte di un determinato territorio. Il nostro è quello dell’alto reatino che è oggettivamente più spopolato e in crisi del basso reatino. È vero siamo all’incirca più della metà della popolazione provinciale, ma distribuita in 41 Comuni, la gran parte dei quali sotto i 1000 abitanti. Addirittura moltissimi sotto i 500 abitanti. Per non dire di Marcetelli che è entrata nella Treccani per essere il più piccolo Comune del Lazio. Appartenere significa che questa terra viene per prima, cioè i suoi problemi devono trovarci concentrati sulla stessa linea. Se partiamo da qui è facile rendersi conto che la crisi del nucleo industriale non riguarda Cittaducale o Rieti o Borgorose; che le infrastrutture non sono una battaglia dell’una o dell’altra parte politica; che le acque non possono essere circoscritte a Castel Sant’Angelo o a Rieti. Questo criterio dell’appartenenza vale anche per i nostri rappresentanti nelle istituzioni nazionali, anche se il vincolo del mandato è stato progressivamente espropriato di questo legame. Da questo incontro potrebbe avviarsi un aggiornamento del tema delle infrastrutture, a cominciare dalla Rieti – Terni che è bloccata per arrivare alla Rieti – Torano che è ferma, fino alla Salaria su cui il Ministro Del Rio si è impegnato con un congruo contributo all’ampliamento. Non accantono l’idea del treno che va tenuta desta se non altro per fare da pungolo all’intero sistema viario.

La coerenza è la necessaria coordinazione tra fine e mezzi. Non si vuol qui parlare della coerenza morale che va data per scontata, anche se non è ovviamente automatica. La politica deve curare la correlazione tra fine e mezzi perché se manca il fine i mezzi rischiano di essere senza scopo; ma se mancano i mezzi il fine rischia di diventare una illusione. La coerenza richiesta chiama in causa tutti: pubblici amministratori, dipendenti, liberi professionisti, imprese e forze sindacali. Oggi siamo di fronte ad una situazione di stallo della macchina statale che è stata smontata e non ancora rimontata. Il caso della Provincia è emblematico con quel che significano le sue competenze che sono state tolte, salvo restituirgliele senza più soldi e senza personale. Ma il discorso si amplia e pone una questione che ci supera, ma di cui essere avvertiti perché manca un riferimento sul territorio che possa essere credibile. Dopo il referendum del 4 dicembre tutto sembra sospeso nel vuoto. All’interno di questo quadro, dopo il terremoto la burocrazia è diventato un problema con cui fare i conti perché provoca la paralisi. Aver sottratto alla figura del Commissario competenze derogatorie fa sì che si tratti una condizione eccezionale come il terremoto alla stregua di un normale contesto di pubblica amministrazione. Mi chiedo se non sia il momento per segnalare questo fatto che rischia di farci avvitare su noi stessi. Coerenza dice pure un’altra cosa e cioè che non possiamo inventarci ogni volta di nuovo la vocazione del nostro territorio, ma andare avanti nella direzione di quello che è già il presente: l’ambiente, l’agricoltura, il turismo, una vestigia di industrializzazione. Come Chiesa stiamo incentivando due aspetti: la riscoperta della Valle santa con la memoria di san Francesco (Valle del primo presepe) e l’attenzione ai temi ambientali con le Comunità Laudato si’.

La pazienza suggerisce che qui nessuno ha la bacchetta magica e soprattutto i Sindaci si trovano a far fronte a un periodo di vacche magre che li espongono a tutte le sollecitazioni, senza poter far perno su alcuna consistenza economica. È necessario però trovare insieme le soluzioni. Alla politica compete decidere. Ma occorre farlo secondo la celebre affermazione di Tommaso Moro: «Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere».