Discorso del vescovo Domenico per l’incontro con i sindaci

Incontro con i sindaci del territorio diocesano in occasione dei 50 anni della Populorum Progressio di Paolo VI
29-03-2017

Sindaco viene dal latino syndicus, a sua volta derivato dal greco sundikos (sun, cioè insieme, e dikè, cioè giustizia). È colui che fa giustizia per l’insieme, cioè costruisce l’armonia tra i singoli dentro una comunità plurale. Oggi è, forse, la figura pubblica destinata a riconciliare la politica con la società civile, perché rappresenta l’estrema frontiera di un tessuto frammentato e spesso disorientato che trova in lui l’ultimo, e talora, l’unico interlocutore. Al punto che il sindaco oggi si ritrova a fare il padre, l’assistente sociale, il prete, il medico, l’imprenditore. Oltre che venire incontro alle richieste dei singoli, egli deve perseguire il bene comune, cioè l’interesse della collettività. Risiede qui la sua sfida più difficile: armonizzare i legittimi interessi dei singoli con l’interesse generale. E qui sta il punto, perché non è facile operare questa integrazione senza contraccolpi.

Nel nostro territorio minuto e, per definizione, di frontiera, la funzione del sindaco si accresce di ulteriori sfumature: è infatti l’amministrazione comunale, in taluni casi insieme alla parrocchia, che preserva l’identità di un luogo poco densamente popolato. Ma, più in generale, il sindaco vive oggi in prima persona tre grandi sfide, che sono: la scarsità delle risorse, la mancanza di un progetto di ampio respiro, la volubilità degli interessi privati.

Dopo il terremoto, l’azione del sindaco è diventata quella di chi “ci mette la faccia” per descrivere la possibile ricostruzione. Al netto di ciò che compete allo Stato centrale, regionale, provinciale, chi rende credibile e avvicinabile l’istituzione pubblica è sempre il sindaco.

Vorrei suggerirvi solo tre parole per attraversare il tempo che ci sta davanti e che, realisticamente, non durerà meno di 10 anni.

La prima parola è silenzio, che vuol dire mantenere, nel vortice degli impegni, uno spazio per ritrovarsi, senza farsi mangiare da imbonitori, adulatori, accusatori. So che non è facile, ma è indispensabile per garantirsi un momento nel quale tornare alle ragioni del proprio impegno. Non si può stare sempre tra gli altri, perché si rischia la confusione, né, d’altra parte, si può stare sempre da soli perché si manca l’obiettivo, che sono gli altri. Ma un sindaco deve poter contare su uno spazio franco che lo restituisca a se stesso, ai suoi affetti, alla sua riflessione, pena il perdere se stesso e gli altri.

La seconda parola è sogno, cioè capacità di guardare le cose con una prospettiva di lungo periodo. È noto l’aforisma attribuito a De Gasperi per cui lo statista guarda lontano, il politicante solo l’immediato. Oggi questa contrazione dello sguardo rende anemica la vita amministrativa, che si concentra solo su quello che urge e mai si interroga seriamente sulle questioni decisive. Bisogna provare a immaginare il futuro, lasciandosi stanare dai soliti luoghi comuni e provare a immaginare qualcosa di diverso. Ce lo chiedono senza dircelo i nostri figli, ma ce lo fa capire anche la condizione di progressivo impoverimento del nostro sistema produttivo. Nel nostro territorio, ad esempio, le infrastrutture non sono un dettaglio. Se non facciamo rete per cercare una soluzione all’isolamento in cui ci troviamo, attraverso la definitiva sistemazione delle nostre vie, mai ci staccheremo dal quadro presente. Il nostro territorio reatino, che proprio la terra squarciata ha imposto all’attenzione nazionale, deve ritrovare la sua vocazione naturale, che ne fa un percorso liminale sì, ma proprio per questo capace di essere trait d’union fra diverse aree del centro Italia. L’auspicata modernizzazione della Salaria, unitamente al completamento della Rieti-Torano e della Rieti-Terni, deve partire da Rieti e da qui irradiarsi verso le diverse direzioni, dall’Abruzzo alle Marche, dall’Umbria a Roma. Anche la ferrovia non deve apparire un sogno proibito, ma la logica intuizione che senza un raccordo facile con la Capitale, che colleghi Rieti a Roma magari a partire dall’Aquila, non si supera la nostra inaccessibilità.

La terza parola è serietà, in questo tempo del post-terremoto. La scossa che ha prodotto un vero disastro degli affetti, delle case, dei luoghi di lavoro e delle chiese, deve e può trasformarsi in una ri-scossa. Questa è l’occasione per fare cose che forse da tempo andavano affrontate insieme. Ciò richiede di tenere a freno un certo campanilismo che rende ancora più irrilevanti e, nello stesso tempo, vigilare perché la cittadinanza sia coinvolta e partecipe. Ci sono due modi per affrontare il post-sisma: attendere dallo Stato tutto e magari perfino il superfluo, ben sapendo che questo terremoto nasce in un contesto blindato in cui non è possibile strafare; oppure collaborare a far sì che le iniziative della ricostruzione siano l’avvio di una ripresa economica e sociale che attendevamo, anche a prescindere da questo sinistro evento.

L’incontro di oggi, abbinato alla vigilia di Santa Barbara (3 dicembre), vorrebbe diventare un appuntamento annuale per ritrovarsi insieme. Siete sindaci in un periodo storico avaro di riconoscimenti per chi si impegna a farsi carico degli altri. La Chiesa vi è accanto e desidera condividere questa fatica del bene comune, senza la quale la nostra società rischia la disgregazione. Grazie per il vostro impegno quotidiano.