Discorso alla Città 2020

Un richiamo alla speranza e all’azione, ripartendo, in particolare, dall’educazione. Questo il cuore del “Discorso alla città” che, ai primi vespri della festività di Santa Barbara, il vescovo Domenico ha rivolto alle autorità, ai rappresentanti delle realtà sociali ed economiche e ai reatini radunati in Cattedrale
03-12-2020

«Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada». Se qualche volta le parole dell’apostolo Paolo sembrano retoriche e lontane dal quotidiano; mai come in questo annus horribilis risuonano pertinenti. In effetti, verrebbe da chiedersi: che cosa deve ancora accaderci per non sentirsi completamente abbandonati e quasi dimenticati? Il Covid ha certamente accelerato e amplificato alcune urgenze ed emergenze e ne ha rivelate altre. Alle difficoltà sanitarie ora si accompagnano quelle economiche e sociali. C’è poi chi parla ormai di “catastrofe educativa”. Ma proprio questo scenario drammatico ci fa più consapevoli che bisogna imprimere una svolta al modello di sviluppo. E per fare questo esiste solo una strada: investire sull’educazione che è una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia. Una controprova storica di questa convinzione è la vicenda di un nostro concittadino onorario, oltre che vescovo emerito. Mi riferisco a mons. Chiarinelli, scomparso solo 4 mesi fa, di cui stiamo per scoprire un busto nel porticato della Cattedrale, a metà strada tra la chiesa e la piazza. Don Lorenzo è stato un uomo che non si è mai risparmiato, offrendo alle giovani generazioni la possibilità di un “ascensore sociale” per venir fuori dal determinismo familiare ed affermarsi così nella vita. Chiarinelli, al pari di mons. Paroni o di Sacchetti Sassetti – solo per citare alcuni riferimenti del passato – ha fornito alla Città un’occasione di crescita e di sviluppo, di cui solo ora ci si rende adeguatamente conto.

Occorre, dunque, ripartire dall’educazione. Sapendo, peraltro, che essa non va intesa come mera trasmissione di concetti, ma piuttosto come la capacità di integrare il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Riconciliare i diversi aspetti della persona evita il cortocircuito di una educazione solo intellettuale, o solo emotiva, o solo pragmatica. Ma per far questo ci vuole “un villaggio dell’educazione”, cioè un patto tra le varie agenzie educative: famiglia, scuola, istituzioni civili e religiose. Ci vuole tempo, gradualità, passione, dialogo con l’altro e, perfino, affetto. E da ultimo, ci vuole competenza e disinteresse perché solo così si reagisce efficacemente alla solitudine e al male di vivere.

Se penso all’edilizia scolastica alle prese con il post-terremoto o all’estenuante questione del polo universitario o ancora alla difficile condizione di docenti e alunni specie i più piccoli, trovo che l’educare è l’unica risposta. È questo, infatti, l’investimento più importante che quando si realizza non ci fa sentire più “separati” o “abbandonati”, ma concentrati sul costruire insieme il futuro.