La domenica andando alla Messa. Dall’osservare al festeggiare

Lettera pastorale del vescovo Domenico
Bollettino 2019

Il caffè della domenica

Alla domenica il caffè ha un altro sapore. Non necessariamente più intenso, sicuramente più gustoso. Non è questione di acqua, ma del tempo che abbiamo per poterlo sorseggiare. Non c’è l’ansia che ci sorprende ogni mattina per affrontare la giornata. Si capisce così che la domenica non è come gli altri giorni. Anche i più piccoli se ne accorgono quando scoprono di avere i genitori tutti per loro. E il tempo scorre diversamente perché si ha come la sensazione di poterlo finalmente padroneggiare. E non da soli, ma insieme a quelli cui vogliamo bene. Sta qui la radice di un tempo diverso che è lontano sia dal tempo del lavoro che da quello dello svago. È il tempo della festa! Non si vive di solo lavoro e neanche di solo tempo libero. Ci vuole la festa che fa ritrovare il gusto di stare insieme. Purtroppo, dobbiamo ammetterlo: anche se siamo sempre connessi, ognuno vive per proprio conto. La domenica però è un’altra storia.

Come è noto, il cristianesimo ha ereditato dal giudaismo la struttura settimanale, così come l’Islam ha proseguito questa tradizione accogliendo la stessa scansione temporale. Tutti “i figli di Abramo”, insomma, si attengono a questa struttura fondamentale del tempo. Per il cristiano la domenica è “il primo giorno”, per il musulmano è il venerdì “il giorno dell’assemblea”, per l’ebreo, infine, è il sabato “il giorno del riposo”. Tocca a noi cristiani tornare alla domenica come “il primo giorno” e non l’ultimo (il week end), il giorno, cioè, in cui tutto comincia. Come scrive Franz Rosenzweig: «Il cristiano è in eterno un uomo che comincia: compiere e terminare non è affar suo: se l’inizio è buono tutto è buono. Questa è l’eterna giovinezza del cristiano; davvero ogni cristiano vive ancora oggi il suo cristianesimo, come se egli fosse il primo cristiano».

La domenica è per immaginare altro e progettare oltre

La domenica cristiana cancella il retrogusto amaro “del sabato del villaggio” di leopardiana memoria, che pur struggente è segnato da una implacabile sensazione di finitezza. Il tempo della festa, per contro, è una sospensione della “legge di gravità” che è la routine e un’apertura ad immaginare altro. L’uomo, infatti, non è qualcosa di ‘bell’e fatto’: il ‘bell’e fatto’ è incompatibile con l’amore e la libertà. E la storia è dunque un ‘cantiere aperto’, nel quale si gioca la grandezza umana. È questo il tratto caratteristico della donna o dell’uomo spirituale: la fiducia nella vita, la capacità di non farsi vincere dagli atteggiamenti negativi, rinunciatari, che portano a disperare. L’uomo è “pieno di promessa” e quando la vita è piena di promessa, vivere è “abitare nella possibilità”. È tale esperienza che abilita all’innovazione personale e sociale. La conversione, del resto, non è tanto emendarsi dal passato, ma aprirsi alla possibilità del futuro. In una parola, la conversione chiama non tanto a una riparazione quanto a una nuova creazione.

L’Eucaristia è una pausa tonificante che costruisce relazioni diverse e lascia emergere una vicinanza che non è fondata sulla simpatia psicologica o sulle comuni vedute, ma sulla medesima ricerca della vita. La Parola di Gesù Cristo e con Lui tutta la Scrittura ci abilitano a una comunicazione che non divide, ma converge su quello che è essenziale. E il Pane e il Vino eucaristici sono il segno di quell’unione profonda tra Dio e l’uomo che ci fa uscire dalla solitudine e dalla confusione.

Resta inteso che la domenica non è solo per immaginare altro, ma anche per progettare oltre. Come scrive papa Francesco: «Sogno una scelta missionaria, capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo, più che per l’autopreservazione» (Evangelii gaudium, 27). La chiesa è per definizione “inviata”, cioè il contrario di una comunità che pensa solo a se stessa. Anche oggi ci sono ragioni per attirare, forse anche più di prima: se si accompagnano i piccoli e i ragazzi nella loro crescita; se si accolgono i diversamente abili; se si prova ad accostarsi alle famiglie, specialmente le più giovani; se si crea un rapporto con le giovani coppie; se si condivide il momento del dolore e della morte. L’Eucaristia diventa allora il momento più alto di una serie di processi per far crescere la condivisione, l’educazione, la promozione umana. Se una comunità pensasse solo all’assemblea eucaristica, senza proporre altre esperienze comunitarie in cui cogliere il nesso tra la fede e la vita, il rischio sarebbe di non essere più attraenti.

Imparare la domenica

Tre strade si aprono davanti a noi per imparare la domenica.

La prima è ritrovare il sapore del tempo. Siamo in un’epoca che denota un difficile rapporto col tempo che si tende ad ingannare o ad ammazzare. Mentre il tempo va vissuto con consapevole responsabilità senza negarsi quella sorta di “terzo tempo” che come nel gioco del rugby è il momento dell’incontro, dello scambio, dell’interazione. Abbiamo bisogno di sperimentare una qualità diversa del tempo che ci sottragga alla sensazione di stare sempre con l’acqua alla gola e di non aver mai il tempo per contemplare, ringraziare, lodare, adorare, trasfigurare.

La seconda è abitare nella possibilità. Occorre uscire dalla sensazione che il mondo si costruisca sulle nostre teste e, spesso, a nostra insaputa. La fede coltivata nella propria comunità fa credere nella libertà e nell’amore di pensare ad un diverso futuro, senza arrendersi alle logiche mortifere di chi prefigura solo il peggio e la catastrofe. Solo stando insieme, ad esempio, le famiglie potranno trovare la forza di reagire a quel “piano inclinato” che si chiama la fine dell’educazione e sapranno investire con creatività e pazienza su nuove tappe di crescita per i loro figli. La vera domanda, come tante volte mi è capitato di dire: non è tanto che mondo lasceremo ai nostri figli, ma che figli lasceremo a questo mondo (!).

Infine, la terza condizione per imparare la domenica e, in essa l’Eucaristia, è fare della parrocchia una comunità ospitale, cioè gioiosa, articolata, coinvolgente. Al netto della crisi, è innegabile che la Messa resti il luogo di maggiore partecipazione della gente. Non c’è evento ecclesiale, iniziativa caritativa, fatto comunitario che sia in grado di radunare la gente come la Messa. Il problema è che per molti dei partecipanti l’iniziazione è ancora e solo quella della prima comunione, la qual cosa è francamente poco rispetto a quello che si sta celebrando. Ciò nonostante permane una curiosità e una nostalgia che sono sufficienti a motivare, a condizione che ci sia non solo un prete, ma una comunità, piccola o grande che sia. La Messa è dono che viene dall’alto, che apre all’incontro con Dio, attraverso la Parola e il Pane e chiede che si allestisca insieme la festa. Questa è la sfida di una liturgia che torni ad essere popolare, gioiosa, sobria. La cartina al tornasole di una comunità è come celebra l’Eucaristia. Da qui si capisce tutto il resto.

In concreto, ci sono alcune scelte pratiche da mettere in atto, mentre rimando ad una Nota, curata dall’ufficio diocesano per l’annuncio e l’evangelizzazione, quasi una ‘mistagogia’ per entrare nella Messa.

La prima, per alzare l’asticella della qualità celebrativa, è il gruppo liturgico e musicale che sotto la guida del parroco aiuti a far nascere un servizio di ministranti e generi un coro, anche piccolo. Senza canto e senza musica è impossibile far festa.

La seconda è curare la celebrazione della messa festiva, evitando la moltiplicazione del numero delle messe che divide la comunità. Il criterio da privilegiare deve essere non la comodità della gente, ma la prossimità alla gente.

La terza è non ridurre la liturgia alla sola Eucaristia, ma rilanciare l’adorazione eucaristica, la lectio divina, la liturgia delle ore e le forme di pietà popolare. Anche su questo l’ufficio per l’annuncio e l’evangelizzazione sta predisponendo una Nota per animare le processioni.

La domenica è l’altro nome del cristiano

Dire domenica è dire cristiano. Così è da sempre. E così si ricava dalla celebre pagina dei Martiri Scillitani, i quali replicando al proconsole Felice, hanno lasciato scritto: «Non sai, dunque, o Satana, che il cristiano trova il suo fondamento nell’eucaristia domenicale e l’eucaristia domenicale nel cristiano così che l’uno non può sussistere senza l’altro? Quando senti il nome di cristiano, sappi che si riunisce con i fratelli davanti al Signore e, quando senti parlare di riunione, riconosci in essa il nome di cristiano».

Rieti
10-11-2019