Trasfigurazione, «esperienza di bellezza»

Come Pietro, Giacomo e Giovanni chiamati a vivere quella particolare esperienza spirituale sul Tabor, anche alcuni reatini, in testa il vescovo Domenico, sono saliti “sul monte” nel giorno che di quel misterioso evento fa memoria, per condividere la festa in particolare con la comunità monastica che a tale mistero si ispira: la Fraternità della Trasfigurazione, che ha il suo cenobio al templum pacis del Terminillo di cui, da oltre vent’anni, ha la cura pastorale ereditata dai francescani. Assieme a fedeli che sono già lì in questi giorni di vacanza, si sono uniti nella celebrazione eucaristica della festa della Trasfigurazione del Signore che, dopo il canto del Vespro, monsignor Pompili ha presieduto nel tempio votivo dedicato al Patrono d’Italia.

Un giorno particolare anche per lui, ha ricordato don Domenico, che proprio il 6 di agosto festeggia l’anniversario della propria ordinazione presbiterale. E un giorno speciale per la comunità fondata da padre Mariano (con lui don Luca, il chierico Pietro che a breve farà la professione perpetua e ora anche un nuovo arrivato dall’India): comunità che, seguendo la Regola di san Benedetto coniugata con l’attenzione allo spirito di san Francesco che dal santuario terminillese domina la Valle Santa, vive proprio sul monte («E che monte!», ha notato il vescovo), e anima, l’incontro con il Signore avvolto di luce.

Un’esperienza «difficilmente decifrabile», quella avuta dai tre apostoli testimoni, quel giorno sul Tabor, di Gesù trasfigurato di candida luce, ha detto monsignore nell’omelia della Messa. «Ma c’è un elemento che torna: come un alternarsi di luce che improvvisamente viene a soccombere di fronte al buio della nube» che li avvolge. Dunque, «una bellezza ambivalente» quella sperimentata dagli amici di Gesù «che restano interdetti, quasi impauriti» da alternarsi della luce sfolgorante e poi dell’ombra della nube. In ogni caso, un’esperienza che «deve averli segnati in profondità, se Pietro molti anni dopo ancora ne conserva il vivo ricordo», ha detto Pompili in riferimento al brano dell’epistola dell’apostolo che richiama lo straordinario evento.

Un’esperienza che «potremmo definire di bellezza». E anche oggi, ha commentato il presule, è la bellezza quella che dobbiamo considerare «l’unica strada di accesso alla vita». Nella nostra vita, ha indicato don Domenico, «sono tre le sorgenti della bellezza: la natura, in tutte le sue forme: non c’è esperienza della natura che non ci faccia provare il brivido. Poi l’essere umano, in particolare il volto, che lascia trasparire bellezza, che non è necessariamente corrispondente ad alcuni canonici estetici, ma ad altre qualità, che fanno trasparire giustizia, bontà, equità, in una parola autenticità. E l’ultima sorgente della bellezza per l’essere umano è l’arte: le muse dell’antichità, ma anche le muse dell’epoca moderna».

Della bellezza, però, occorre superare l’ambivalenza. E per farlo, ha indicato monsignore, «è necessario tenere insieme due aspetti che non vanno mai separati»: l’etica e l’estetica. Ci può infatti essere «estetica senza etica», e Pompili ha portato l’esempio di Hitler e dell’estetica nazista, innamorata dell’arte ma senza il minimo aggancio di tipo etico, dunque «un’estetica fine a se stessa che è caduta in un estetismo, l’esaltazione di una “razza pura”, che fosse esteticamente perfetta, ma senza alcuna responsabilità». E «ci può essere un’etica senza estetica»: e don Domenico ha fatto riferimento agli pseudo credenti islamici, i fondamentalisti che in nome di presunti principi etici distruggono le opere d’arte, ma anche a «iconoclasti del nostro mondo culturale, che hanno in disprezzo la bellezza, per loro conta solo l’affermazione di alcuni valori da brandire come fossero delle armi». Anche questa etica senza estetica, dunque, «è un pericoloso cortocircuito: la bontà deve essere sempre manifestata attraverso la bellezza, giacché la bellezza è anche verità».

In conclusione, perciò, dal vescovo l’invito a pregare perché «questo giorno della bellezza che è la Trasfigurazione, in cui la luce inonda il corpo del Maestro e ne rivela la sua più profonda identità diventi per noi anche un percorso da condividere, perché la bellezza è l’unica strada di accesso alla salvezza, è l’unico tramite che ci riconduce a Dio».