Terremoto Centro Italia 4 anni dopo: «Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta»

«No passerelle, non siete più credibili», «Tana per tutti, nessuno escluso» e poi un significativo quanto perentorio invito: «Zona terremoto, fate inversione». Scritte che campeggiano in alcuni manifesti ben visibili a chi arriva ad Amatrice ed Accumoli e che descrivono lo stato d’animo delle popolazioni terremotate, quattro anni dopo il sisma del 24 agosto 2016. Una protesta contro le Autorità competenti per la ricostruzione che tarda. Dopo 4 anni, ad Amatrice spuntano le prime gru che non mitigano la rabbia di chi ha perso tutto, casa, attività e affetti.

Solo lo scorso 15 luglio le prime cinque famiglie amatriciane, hanno lasciato le Sae, soluzioni abitative di emergenza per rientrare in vere case. Cinque appartamenti di 90 metri quadrati circa ognuno, interamente ricostruiti nel pieno rispetto degli standard di sicurezza e risparmio energetico. Un anticipo di ricostruzione, «un segnale di speranza e incoraggiamento per tutti che dà la misura di come è possibile tornare a vivere in questo territorio» come detto dal vescovo di Rieti, mons. Domenico Pompili. Sono molti i cantieri aperti per decine di abitazioni, ma anche di un albergo.

Il punto sulla ricostruzione nel Lazio. A riguardo l’Assessorato al Lavoro, Scuola e Politiche per la ricostruzione della Regione Lazio, guidato da Claudio Di Berardino, il 18 agosto, ha fatto il punto sulla ricostruzione: «il processo di ricostruzione dell’area del cratere laziale prosegue con grande impegno. In particolare, per quanto riguarda la ricostruzione delle abitazioni private, una più significativa accelerazione la stiamo registrando negli ultimi mesi. Un’energica spinta è stata sicuramente la recente ordinanza del Commissario straordinario per la ricostruzione, Legnini, tanto che solo nell’ultimo mese sono state circa 200 le richieste di attestazione, propedeutiche alla richiesta di contributo, solo nel comune di Amatrice, a fronte di circa 1500 istanze presentate nel corso degli anni. Attualmente sono 550 i cantieri avviati per i quali sono stati concessi oltre 110 milioni di euro. Ulteriori 55 milioni di euro sono in fase di approvazione per oltre 600 cantieri da aprire entro l’anno in corso».

Circa la ricostruzione, «oggi sono in progettazione oltre 120 interventi, per alcuni dei quali si stanno già avviando le procedure di gara per l’affidamento dei lavori. Proprio in questi giorni è in corso la gara per uno dei cantieri più importanti per Amatrice, la ricostruzione dell’Ospedale Grifoni. Tanti i lavori già avviati tra i quali: le opere di urbanizzazione della frazione di Collespada a Accumoli, il consolidamento del Ponte Tre Occhi a Amatrice, la sistemazione della strada di acceso a Amatrice, la scuola di Collevecchio.

E tanti sono i lavori già ultimati, tra i quali la sistemazione del cimitero di Antrodoco e il Terminal di Selvarotonda a Cittareale». Tra le opere pubbliche più significative già realizzate, secondo l’assessore, «sono da ricordare le scuole di Amatrice, Accumoli e Leonessa. Altre 18 opere pubbliche partiranno entro l’anno per un importo pari a 51 milioni di euro. Tra queste vi sono, oltre all’ospedale di Amatrice, il centro di formazione professionale e il cimitero monumentale di Amatrice, e lo chalet Pantani a Accumoli. Sono oltre 100, inoltre, gli appartamenti di edilizia abitativa già ultimati e in fase di ultimazione a Amatrice e che saranno consegnati a altrettante famiglie».

Per quanto riguarda Accumoli, l’Ufficio speciale ricostruzione del Lazio ha già redatto il Programma straordinario per la Ricostruzione del comune che sta seguendo l’iter per la sua approvazione. È di ieri, invece, la pubblicazione del Rapporto sullo stato di avanzamento della ricostruzione privata e pubblica nel Centro Italia. L’impegno del commissario per accelerare la lenta ricostruzione: «Il nostro obiettivo è quello di aprire almeno 5mila cantieri privati e pubblici per la prossima primavera, con un ritmo crescente nei mesi e negli anni successivi»

Il tempo della memoria

Ad Amatrice, Accumoli e negli altri centri del cratere questi sono i giorni della memoria e del ricordo. Tra i tanti che sono tornati in questi giorni ad Amatrice anche il parroco di allora, don Savino D’Amelio, che quelle scosse le ricorda bene. Alle 3,36 del mattino del 24 agosto 2016, dopo il terremoto riuscì a mettere in salvo 27 anziani della casa di riposo «Padre Minozzi». Nelle ore e nei giorni successivi il parroco faceva la spola tra le tende-obitorio, le macerie dove i soccorritori cercavano di salvare vite umane e le tendopoli  dove dava conforto ai sopravvissuti.

«Di quei momenti – dice al Sir mons. Domenico Pompili – resta una ferita che non si è mai rimarginata. Penso soprattutto alle famiglie che hanno avuto lutti e che hanno visto interrompersi bruscamente le catene generazionali, padri, madri, figli, fratelli e sorelle. In un libro, Gocce di memoria, che pubblicammo all’indomani della tragedia, sono documentate le vite di tutte le vittime di quella notte. Il loro ricordo è incancellabile. Credo che sia questo il punto da cui ripartire: non dimenticare che il dolore di quei momenti non è stato superato. Le persone non si rimpiazzano e occorre per questo una sapiente e continua vicinanza a queste popolazioni».

Tornano alla mente le parole pronunciate, il 30 agosto 2016, dal vescovo durante i funerali di Stato delle vittime del sisma, alla presenza dei familiari e delle massime autorità dello Stato, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’allora premier Matteo Renzi e dei presidenti delle due Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini. Le parole di Gesù, citate nell’omelia quel giorno, venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò…, vanno lette «come un balsamo sulle ferite fisiche, psicologiche e spirituali di tantissimi. Troppi». «Non basteranno giorni, ci vorranno anni…» per lenire queste ferite.

Di anni ne sono passati già 4: qual è oggi lo stato d’animo delle popolazione terremotate?

«Era un atto di realismo immaginare che ricostruire non sarebbe stata un’opera di qualche stagione – risponde mons. Pompili – Dopo 4 anni per un verso possiamo dire che alcune cose sono state fatte ma l’impressione complessiva, complici nel primo anno una lunga sequenza sismica e nell’ultima metà di questo 2020 la pandemia Covid-19, è che non si sia fatto tutto quello che si sarebbe desiderato fare. Tuttavia nell’ultimo periodo registriamo una accelerazione legata soprattutto alla ricostruzione privata. Dalla velocità della ricostruzione dipende la fiducia dei cittadini».

La ricostruzione di questa terra, per citare sempre parole di quella omelia, «non sarà una ‘querelle politica’ o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma quel che deve: far rivivere una bellezza di cui siamo custodi». In questi anni abbiamo visto purtroppo «querelle politiche e sciacallaggi», l’esibizione di «muscolare ingenuità di chi promette tutto all’istante» e una burocrazia senza limiti…

«La burocrazia è la madre di tutte le lentezze ma è figlia di un sistema pubblico che è segnato da almeno due strutturali forme di fragilità. La prima è una politica che insegue sempre la prossima votazione elettorale distogliendo così lo sguardo dall’ultima emergenza. La seconda è legata al quadro della funzione pubblica nel quale gli interlocutori cambiano, non hanno una rete di relazioni dal punto di vista gerarchico per cui le cose si fermano strada facendo, come abbiamo visto per moltissimi progetti che non hanno mai visto la luce in questi anni».

«Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta. Abitiamo una terra verde, terra di pastori. Dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che salvaguardi la forza amorevole e tenace del pastore». Quale potrebbe essere questa forma nuova di presenza, da lei invocata subito dopo il sisma?

Una presenza che preservi questa terra verde, che è l’Appennino centrale colpito sistematicamente da eventi sismici, dall’abbandono e da un esodo progressivo verso le città. Tra città e montagna esiste una stretta correlazione che non può essere espunta perché la città vive della montagna e viceversa. Lo abbiamo visto con il lockdown per il Covid-19, quando tanta gente è tornata in montagna perché si sentiva più sicura, e non solo perché luogo delle proprie radici. Quella indotta dal Covid potrebbe essere una visione: recuperare l’Italia centrale non abbandonandola al destino dello spopolamento in nome di una crescita puramente economica.

Che poi è l’idea che sta dietro «Casa del Futuro» che dovrebbe prendere forma nello storico complesso del Don Minozzi…

«Esatto. Stiamo mettendo a punto tutte le misure tecniche e procedurali per arrivare alla realizzazione di questa struttura che è un modo di voler abitare questa terra attraverso uno spazio accogliente, sulla linea dell’Enciclica di Papa Francesco, Laudato si’. Una casa che sia anche luogo di sperimentazione di una filiera agro-alimentare che vogliamo creare insieme con Slow Food di Carlin Petrini con il quale abbiamo intrapreso il cammino delle Comunità Laudato si’. A tal proposito il 12 settembre le comunità saranno ricevute in udienza da Papa Francesco».