Terminillo: trasfigurati nella luce

La festa liturgica della Trasfigurazione del Signore arriva in genere un po’ in sordina, collocata com’è nel pieno dell’estate: a parte quando il 6 agosto capita di domenica, per molti passa in tono minore.

Non così al Terminillo, dove la parrocchia del templum pacis vive questa ricorrenza in modo sempre solenne, grazie alla presenza della comunità dei monaci che proprio al mistero di Gesù trasfigurato sul Tabor ispira il proprio carisma.

A presiedere la celebrazione del Vespro solenne unito alla Messa la fraternità monastica della Trasfigurazione, che cura il tempio terminillese dedicato a san Francesco, ha invitato quest’anno il vescovo Domenico.

Monsignor Pompili è dunque salito sul monte per la liturgia e anche per presenziare all’inaugurazione di un’opera pittorica dedicata proprio al mistero della Trasfigurazione.

Inaugurazione svoltasi nel salone parrocchiale sottostante la chiesa, dove verrà collocata, almeno per il momento, la tela realizzata dal pittore Alessandro Melchiorri. Una realizzazione che si inserisce nello spirito di armonia tra fede e arte che la parrocchia ha voluto promuovere, ha detto, in apertura del momento inaugurale, il parroco e superiore della comunità monastica, padre Mariano Pappalardo: quell’armonia che venne raccomandata da Paolo VI in una delle sue ultime omelie, in occasione della Messa degli artisti, ha detto il sacerdote ricordando che proprio il 6 agosto ricorreva il 40° della morte di papa Montini (che sarà canonizzato a ottobre), il quale alla sera del giorno della Trasfigurazione del 1978 si spegneva nella residenza estiva di Castel Gandolfo.

È in questo spirito che anche quest’anno, tra le tante iniziative del “pacchetto” estivo offerto dalla parrocchia (ora con l’aggiunta della particolare sottolineatura dell’aver anche aderito al progetto delle «Comunità Laudato si’»), gli spazi del centro pastorale sotto il tempio dedicato al Patrono d’Italia accolgono una mostra pittorica sul Cantico delle creature: se negli anni precedenti erano esposte opere di disegnatori per l’infanzia, stavolta a comporre la mostra – che si intitola “Il mondo incantato” – ci sono disegni di bambini assieme ad altri di adulti: tutti allievi della scuola di pittura “L’altro studio” diretta dallo stesso Melchiorre.

E mentre gli allievi si sono cimentati a illustrare i vari passi del Cantico di san Francesco, il maestro si è dedicato a dipingere il mistero della Trasfigurazione, interpretato in forma astratta, non figurativa: una serie di linee che danno l’idea di un monte che, nel blu del cielo, si illumina di una luce in cui si intravede il volto splendente del Signore.

Un’evocazione dunque indiretta di quella singolare esperienza mistica vissuta sul monte dai tre apostoli che contemplarono il volto trasfigurato del Maestro. Quell’esperienza che l’evangelista Marco, la cui versione dell’episodio è stata proclamata nella liturgia celebrata poi in chiesa, descrive sottolineando il candore delle vesti di Gesù.

«Un mistero singolare perché in esso non si dice qualcosa che Gesù fa, ma qualcosa che è fatta a Lui, che cambia improvvisamente d’aspetto», ha detto il vescovo nell’omelia. Il tema della luce è centrale in questo mistero: «Ciò che colpisce è la sua luminosità che non è terrestre, ma è il riverbero del sole», ha continuato monsignore evidenziando come, pur essendo noi uomini più colpiti dalla suggestione della luna, sia proprio il sole «il protagonista indiscusso», e se san Francesco lo celebra come la prima creatura del suo Cantico gli uomini lo notano poco: «Siamo così distratti dal darne per scontata la presenza», e però «è decisivo tornare al sole, perché l’uomo è “ciò che guarda”. L’immagine ha il potere di penetrare non solo nel corpo, ma nell’anima stessa».

Infatti, ha insistito Pompili, «contemplando Gesù nella sua Trasfigurazione ci conformiamo a lui, permettiamo al suo mondo, ai suoi scopi, ai suoi sentimenti di imprimersi in noi, di farci simili a sé». E contemplando il Cristo trasfigurato siamo condotti alla convinzione che «non soltanto egli è uomo e Dio, ma che il destino dell’uomo ha sua destinazione eterna».

E don Domenico ha concluso l’omelia citando, a tal proposito, le parole della bella preghiera scritta e mai pronunciata da Paolo VI in quel giorno in cui, quarant’anni fa, «venne “trasfigurato” dalla morte», preghiera preparata per l’allocuzione all’Angelus che, colto dal malore che poi lo portò a spirare in serata, non poté tenere: «Quel corpo che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli è il tuo corpo, o Cristo nostro fratello, ma è anche il nostro corpo chiamato alla gloria: quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e splendore».