Te Deum in Cattedrale. Mons. Pompili: «Il 2017 sarà quello che la nostra umanità vorrà»

È stata una meditazione sul tempo quella che, in Cattedrale, il vescovo Domenico ha sviluppato nell’omelia dei primi vespri della solennità di Maria Santissima Madre di Dio. D’altronde, la lettura breve (Gal 4, 4-5) proposta dalla liturgia del 31 dicembre, poi conclusasi con il canto del tradizionale inno Te Deum in ringraziamento per l’anno appena trascorso, presentava un incipit che non poteva che portare in tale direzione: «Quando venne la pienezza del tempo».

L’affermazione perentoria dell’apostolo Paolo è stata lo spunto per riflettere sul «fascino» e sul «tormento di un anno che sta per chiudersi», oltre che sullo statuto del tempo. Per qualcuno, infatti, questo neppure esisterebbe, «sarebbe poco più che una convenzione sociale, o un susseguirsi casuale di istanti, frammenti da collezionare singolarmente. In realtà – ha sostenuto mons. Pompili – dietro lo scorrere inesorabile delle ore si cela la nostra vita. Paolo, anzi, sembra insinuare una cosa: il tempo non passa, ma matura, cioè ci fa crescere».

Tale maturazione, però, non è legata a eventi tecnologici o catastrofici, ma soltanto a un fatto: «L’avvento del Figlio, che ci rende a nostra volta figli. Il tempo così non sarà più vissuto con rimpianto o rassegnazione, ma come occasione per crescere in questa consapevolezza: siamo figli e non schiavi».

Il pensiero del vescovo è ovviamente corso anche all’anno appena concluso, un 2016 che si sarebbe tentati di definire un annus horribilis: sensazione poi rafforzata il 1 gennaio, quando, poco più di un’ora prima che iniziasse la santa messa presieduta da don Domenico in Santa Maria, la terra è tornata a tremare per qualche istante, risvegliando la paura dopo alcune settimane di tregua apparente. Per la verità – ha ricordato Pompili – di tutti gli anni si dice che sono stati orribili, anche se certamente l’ultimo ha avuto la sua particolarità. Ciò nondimeno, quella che il vescovo ha proposto è stata una modalità radicalmente diversa di rapportarsi al tempo che passa: quest’ultimo «consiste nell’accogliere o meno il Figlio, che ci strappa alla nostra condizione di “orfani” e all’aggressività che ne deriva. Si può essere liberi anche dentro una condizione compromessa esteriormente, come è la vita di tanti che sono in container o attendono di tornare ad Accumoli o ad Amatrice. Si può essere schiavi anche dentro una situazione che presenta tutti i vantaggi di una vita spensierata e allegra. Il filo su cui corre la nostra libertà è quello interiore di chi sa di essere “affidato” a Dio, oppure “gettato” nel mondo. In altre parole: se ci sentiamo orfani, sopravvissuti, in lotta contro tutti, oppure affidati alle buone mani di Dio, in costante divenire, insieme a tutti gli altri».

Il canto del Veni, creator Spiritus, che al termine della celebrazione eucaristica è stato intonato per invocare lo Spirito di Dio sul nuovo anno, ha quindi assunto una speciale consonanza con le parole pronunciate da mons. Pompili la sera prima, quando aveva esortato ad adottare un approccio “creativo” al 2017. Un approccio che non potrà che giovarsi dell’apporto “creatore” del Paraclito: «Se il terremoto resetta tutto, costituisce pure un nuovo inizio che non può essere la semplice prosecuzione del passato. Più che costruire “com’era e dov’era”, dobbiamo inventarci una forma nuova di presenza che rigeneri i rapporti come “tra figli” e non come “tra schiavi”. In particolare: che trasformi l’aggressività che ci è così connaturale in propellente per la ricostruzione. Il nostro ideale non è mai il singolo che, orfano dei legami, si scaglia contro il mondo».

Ecco allora che il 2017 si rivelerà essere «quello che la nostra umanità vorrà. E consisterà nell’essere più aperti, più grati e più sensibili». Il modello di una simile umanità rigenerata non poteva che essere, nella solennità dedicata alla sua maternità divina, Maria di Nazaret, la quale «assiste al prodigio del suo Figlio, che concepisce dentro di sé dopo averlo concepito nel suo cuore».