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Riaperta la chiesa di San Domenico: luogo per la bellezza, l’arte, la musica, il canto

È stata riaperta ieri nel ricordo di mons Luigi Bardotti la chiesa di san Domenico. Interdetto per quasi un anno in seguito allo sciame sismico che ha attraversato il centro Italia, l’edificio di culto è tornato ad accogliere la città e i fedeli proprio in occasione della ricorrenza liturgica di san Domenico, con una messa celebrata dal vescovo Pompili. Che proprio guardando a don Luigi ha ricordato quanto tenacemente il sacerdote, scomparso lo scorso ottobre, si sia impegnato per fare del “bel San Domenico” un luogo di bellezza e di arte. Aspetti della vita necessari oggi più che mai, perché «quando viene meno il bello, si fa strada solo l’utile, il tornaconto, l’efficienza, la velocità». «Don Luigi – ha ricordato il vescovo Domenico – ha invece voluto che questo luogo fosse il luogo della bellezza, dell’arte, della musica, del canto. E noi intendiamo per onorarne la memoria continuare su questa medesima strada».

La chiesa è stata dunque riaperta con il progetto di valorizzare questa sua finalità specifica. A don Paolo Maria Blasetti, è stata affidata l’officiatura, «poichè l’attività liturgica in San Domenico dovrà necessariamente armonizzarsi con quella della vicina Cattedrale», mentre l’onere della gestione e della progettazione culturale vede impegnati l’Ufficio Liturgico, dei Beni Culturali e delle Comunicazioni Sociali. Un impegno che non mancherà di mettere al centro il tesoro più prezioso conservato nella chiesa di San Domenico: il pontificio Organo Dom Bedos Ruobo.

E proprio come piccolo segnale del percorso di valorizzazione culturale di San Domenico, è stata ieri diffusa una brochure che racconta in sintesi la storia e l’importanza del complesso dei frati predicatori nel contesto della città di Rieti. Un modo per fare il punto e guardare avanti che si aggiunge all’apertura quotidiana della chiesa, in orari stabiliti, che avrà inizio nei prossimi giorni.

Foto di Massimo Renzi

Da una «vita mal spesa» alle Beatitudini. Nuovi segni francescani a Poggio Bustone

Mercoledì 2 agosto si è svolta la “Marcia del Perdono”. Partenza in preghiera dalla parrocchia di San Pietro di Poggio Bustone con il giovane frate Francesco. I pellegrini, provenienti anche da Cantalice e Rivodutri, si sono ritrovati al santuario di Poggio Bustone, dove ad attenderli c’erano Mons. Pompili e Padre Renzo Cocchi. Prima di partire per il sacro speco il Vescovo Domenico ha benedetto la cappella “delle Beatitudini”, così detta dal tema del quadro principale dell’allestimento.

Da poco completata, di fianco alla chiesa del santuario francescano, lo spazio è infatti stato completamente realizzato – sia nelle suppellettili che nelle opere pittoriche e scultoree – dal maestro Piero Casentini, un artista contemporaneo molto apprezzato in ambiente francescano, la cui produzione è diffusa in tutto il mondo.

«Il desiderio di realizzare questa cappella – spiega padre Renzo Cocchi – nasce dal bisogno di realizzare un luogo più raccolto per ospitare piccoli gruppi, o la preghiera personale, e per celebrare il sacramento della riconciliazione. L’idea ha iniziato a prendere forma nel 2012 e ha potuto diventare realtà e grazie al contributo prezioso di molte persone, oltre che all’impegno di Piero Casentini e dell’architetto Andrea Cecilia».

Il grande quadro delle Beatitudini sormonta l’altare. Sulla sinistra sta il trittico che rappresenta la Vergine Maria tra di San Francesco e San Giacomo apostolo (titolare del santuario di Poggio Bustone) e, a parte, San Benedetto. Tre santi evocati per accompagnare l’esperienza dei pellegrini perché il santuario, di derivazione Benedettina, era legato al culto di san Giacomo prima ancora di essere collegato alla figura di san Francesco.

Sulla parete di destra, una Via Crucis riprende lo stile dell’immagine centrale. Ambone e crocifisso riportano le icone dei quattro evangelisti e nel frontale dell’altare si vede Gesù che spezza il pane all’altezza del cuore. La finestra, realizzata da un artigiano locale, riprende invece i colori della chiesa adiacente.

Subito dopo aver benedetto la cappella, mons. Domenico e tutti i presenti sono saliti all’eremo in cui Francesco si ritirò ricevendo da Dio la rivelazione che tutti i suoi peccati di gioventù, nonostante i dubbi che egli nutriva in proposito, gli erano completamente perdonati. E se, anni dopo, il Poverello realizzò il “Perdono di Assisi”, legato alla sua chiesetta di Santa Maria degli Angeli, è perché aveva sperimentato questo perdono, ha detto il vescovo all’inizio della Messa, concelebrata con padre Renzo e con don Zdenek che aveva partecipato alla marcia. «Il Perdono di Assisi nasce dunque dal perdono di Poggio Bustone», ha sottolineato Pompili. E nell’omelia, richiamando un altro grande poggiano, il cantautore nativo di quei luoghi Lucio Battisti, il vescovo ha invitato a ripercorrere l’esperienza di san Francesco trasformando «una giornata uggiosa, una vita mal spesa» in un incontro con la misericordia di Dio che, attraverso Maria regina degli angeli, apre il cuore a una vita rinnovata dalla sua grazia.

Tornati dalla faticosa salita tutti i pellegrini si sono ristorati con una generosa cena e uno spettacolo musicale. Per tutto il pomeriggio la Compagnia di San Giovanni ha rievocato l’ambiente di un mercato del medioevo con costumi, armi e prodotti che ripercorrono la lunga storia dell’epoca. I ragazzi della Compagnia hanno illustrato la storia e il significato degli oggetti e si sono esibiti in musiche e danze medievali. Insomma tra spettacoli, spirito e convivialità san Francesco non è mai stato così vicino.

Una iniziativa, quest’ultima, legata al progetto de “I Borghi di Francesco” e alla mostra di immagini della Valle Santa realizzate da Steve McCurry ed esposte sotto le volte del palazzo papale di Rieti. Un complesso di iniziative che a loro volta preludono al grande evento de “La Valle del Primo Presepe”.

Tanti percorsi legati in vario modo e con diversi intenti (spirituale, artistico, culturale, turistico) dal filo rosso della presenza Francescana nella valle reatina. Una chiave di lettura, quella del “Francesco di Rieti”, che resta un forte tratto unitario del territorio, da riscoprire continuamente e da vivere.