Rieti rinnova la devozione per la Madonna del Popolo, «Madre della gioia tra le avversità della vita»

Un popolo ha gioito per il suo Dio. Guardando alla sua “icona” più perfetta che è Maria. Ha gioito, il popolo reatino, pur nella contrazione numerica di quella devozione che i padri hanno trasmesso ma che nella società post moderna non ha più il calore di una volta, di quei lunedì di Pasqua in cui le campane a distesa richiamavano in Duomo da tutto il contado folle di devoti e il sacro corteo pomeridiano attraversava folto le vie del centro…Negli ultimi anni, spostata prima alla domenica in Albis e, da tre anni in qua, all’ultimo giorno del mese mariano, la festività della Madonna del Popolo si vive in modo più intimo ma, per chi vi partecipa, non meno sentito.

E gioiosi, i fedeli presenti alla processione serale, pregano e cantano, a suon di banda musicale e con le luci dei flambeaux, solcando le strade ormai secolarizzate accanto agli stand di una fiera gastronomica. Ma ugualmente si gioisce, seguendo l’animazione della preghiera e del canto che don Marco, don Roberto, suor Patrizia e suor Kristina guidano al microfono: uomini e donne, qualche ragazzino che genitori o nonni sono riusciti a portarsi dietro, un po’ di suore, le confraternite coi loro stendardi (sfilano quelli della Pia Unione Sant’Antonio di Padova e di quella di Maria Addolorata), infine il clero e il vescovo che precede la macchina processionale su cui è issata l’effigie cara alla tradizione popolare, riproduzione dell’affresco medievale un tempo collocato nell’abside e poi nel suo altare dedicato nel transetto sinistro.

La macchina è collocata nella navata la sera, per il momento solenne che apre la processione: il canto dell’Akatisthos, l’inno della tradizione liturgica bizantina che ripercorre l’esperienza spirituale di Maria, salutata come “vergine e sposa” tra le diverse “stanze” in cui i cantori (le voci soliste di don Roberto e suor Giuditta alternate con la schola cantorum e l’assemblea) inneggiano a lei con i titoli cari alla spiritualità orientale, in quella forte dimensione poetica che i versetti proclamati dai lettori (sono le voci di don Paolo e Miriam a recitarli) fanno emergere in tutta la sublimità di questo testo carico di devozione.

La gioia è la dimensione su cui, un paio d’ore prima, aveva voluto maggiormente battere il vescovo Domenico nell’omelia della Messa solenne della festa della Visitazione di Maria. Partendo da quell’invito forte alla letizia e all’esultanza che, nella prima lettura della liturgia, era risuonato con le parole del profeta Sofonia, quel profeta, aveva detto monsignore, «piuttosto rude» che «in genere nel suo linguaccio è piuttosto minaccioso» e che invece, nel testo proclamato in cui invita la “figlia di Sion” a esultare per il suo Dio, si lascia «lui per primo contagiare dalla gioia, a dispetto della realtà. E la ragione è che lui stesso esplicita al popolo: “Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente”». La gioia, infatti, ha sottolineato Pompili, «nasce in mezzo alle piccole cose di ogni giorno quando riusciamo a sperimentare la presenza di Dio in mezzo alla nostra quotidianità, perché Dio rivolge anche a noi le parole riportate nel libro del Siracide: “Figlio, per quanto ti è possibile, trattati bene… Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14)».

Ed è questo aspetto della gioia che l’omelia del vescovo ha voluto mettere in evidenza anche rispetto all’episodio oggetto della festività liturgica, secondo la narrazione dell’evangelista Luca: quell’incontro delle due donne gravide a distanza di sei mesi. Una pagina che «conferma effettivamente che dove c’è Dio immediatamente si sprigiona la gioia», dove si legge che il bimbo che Elisabetta porta in grembo, al saluto rivolto da Maria alla cugina Elisabetta «addirittura salta nel grembo di sua madre (Lc 1,41)».

La gioia viene da Dio, insiste don Domenico: «se non c’è la gioia la nostra vita fa piuttosto esperienza della noia. Esiste una controprova linguistica: il termine ‘entusiasmo’ che significa nella sua radice etimologica ‘in Dio’: perciò c’è questa capacità di entusiasmarci soltanto quando siamo in Dio, con Dio, e al contrario quando Dio è lontano dalla nostra vita il rischio fatale è la depressione e la stanchezza». E qui monsignore ha voluto confidare un momento vissuto qualche giorno prima, in una sua visita nella Svizzera italiana, invitato dal vescovo di Lugano: passeggiando in questa cittadina elvetica «così efficiente ed economicamente di livello alto, con negozi di alta qualità, dove si percepisce una ricchezza diffusa», il confratello alla guida di quella Chiesa locale lo aveva invitato a non illudersi: «Mi diceva: “Non credere però che qui la gente sia così felice”, anzi lui può toccare con mano questa gente all’apparenza benestante sia in realtà depressa e stanca».

E già: in assenza di Dio, solo «stanchezza e depressione.

Maria, al contrario, è colei che porta Dio e non a caso viene salutata da Elisabetta con le parole che ben conosciamo: “A che devo che la madre del mio Signore venga a me?”. E subito dopo è Maria stessa che esplode in quel cantico di gioia che è appunto il Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore” (Lc 1,46-47)». Ed è proprio questo il motivo per cui «Maria è così cara al popolo cristiano: non solo perché è la madre addolorata ma perché è la madre anche della gioia, della gioia pur in mezzo alle avversità della vita». Anzi, ha voluto spiegare il vescovo, proprio la Madonna «ci rivela che cos’è la gioia e come si distingue dai suoi surrogati. La gioia è, anzitutto, un qualcosa spirituale. Non dipende, cioè, dalle circostanze materiali, anzi spesso si sprigiona dentro situazioni all’apparenza contrarie. Paolo VI nella Gaudete in Domino scrive: “La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia”. La gioia è oltre il parere istantaneo, materiale e inevitabilmente limitato».

La gioia, inoltre, ha proseguito Pompili, «ha a che fare con la sorpresa, perché è sempre in qualche modo a tradimento. Ascoltare i telegiornali o leggere i giornali ci fa sempre precipitare sempre dentro le stesse cose. Solo Dio è novità, il resto è soltanto ripetizione. Il Vangelo è sempre una novità sorprendente».
Infine, «la gioia, come ci insegna Maria, è qualcosa porta che si apre dall’esterno e non si chiude dall’interno. Maria non si ripiega su se stessa ma si lascia stanare dal bisogno della cugina e si muove verso di lei… La gioia è sempre così!». Questa, ha concluso monsignore, «è anche la nostra esperienza: se usciamo dall’autismo affettivo in cui ci chiudiamo ci mettiamo nella condizione di andare verso gli altri». Non è un caso, che Maria venga appellata, tra i suoi tanti titoli, «come Causa nostræ letitiæ», poiché «il segreto intuito del popolo non smette di fissare colei che è la causa della nostra gioia».