RiData, un albero che può dare molto frutto

Una realtà complessa per fonti, per orizzonte temporale, per linee di sviluppo. È lo spaccato del territorio e della società del reatino tratteggiata da mons Lorenzo Chiarinelli introducendo i lavori del terzo Incontro di Cittadinanza promosso dal progetto RiData. Un appuntamento centrato sulla cultura del territorio, intesa non solo nel senso dei saperi, ma soprattutto come capacità di essere in dialogo con la realtà circostante.
Per semplificare il discorso e offrire ambiti di approfondimento, don Lorenzo si è appoggiato alla familiare immagine dell’albero, che ha radici, tronco e rami, che danno foglie e frutti.

Radici materiali, radici culturali, contesto

Alle radici – ha spiegato il vescovo emerito – ci sono i «caratteri genetici» della realtà reatina, il primo dei quali è strettamente legato alla terra. Perché quella reatina è una realtà dal carattere prevalentemente rurale e lo si può verificare tanto nell’esperienza quanto scorrendo la letteratura che la riguarda, da Marco Terenzio Varrone ai giorni nostri. Terra, ma anche acqua, di cui il territorio è ricchissimo, e che vuol dire anche capacità stare in movimento. E poi, sempre legata alla terra, c’è la sfera zoologica, intesa nella forma dell’allevamento.

Di fianco alle radici materiali, ci sono però anche le radici culturali, che don Lorenzo ha riassunto in due grandi filoni. Il primo è la romanità, una dimensione da tradurre nel senso dell’humanitas, della comprensione di come hanno preso vita e articolazione le dinamiche del territorio. L’altro filone è quello dell’esperienza cristiana, da leggere in particolare nella sua coloritura francescana.

Radici profonde, che mons Chiarinelli ha notato affondare in un terreno diversificato, di confine, che debbono in qualche modo tenere insieme: quello di una provincia creata nel 1926 con parti del Lazio, dell’Umbria, dell’Abruzzo, delle Marche. Una «territorialità di confine» che forse è meno immediata degli altri fattori, ma non per questo si può ignorare. Perché dice di una provincia composta di periferie, che al suo interno sviluppa una intrinseca variabilità socio-politico-culturale; dice che la storia della provincia di Rieti è la storia di una realtà non compatta, non omogenea, non caratterizzata in modo coerente.

Le linee di sviluppo: tronco e rami

Anche per questo, andare a vedere quale fusto è cresciuto su queste radici non è semplice. Si possono però esplorare alcune linee essenziali, ad esempio indagando su quale realtà economica e quale atteggiamento esistenziale derivano dall’origine rurale. Un cammino che nelle sue forme più consapevoli e organizzate potrebbe andare dal già citato Varrone alle ricerche genetiche compiute nella piana reatina da Nazareno Strampelli: una figura dimenticata troppo in fretta e della quale non sappiamo cogliere la rilevanza per l’agricoltura mondiale.

Un’altra linea di consapevolezza è quella che emerge attraverso la ricca storiografia locale. Un patrimonio enorme che va da Giuseppe Flavio a Sacchetti Sassetti, fino a giungere agli studi più recenti. Indagini che comprendono anche le ricerche sul francescanesimo: un argomento cui spesso ci rivolgiamo in modo scontato o superficiale, senza renderci conto di quanto l’esperienza di Francesco nella Valle Santa segni in maniera singolare gli stessi sviluppi della vicenda francescana. E non solo perché è difficile raccordare Greccio o Fonte Colombo con il sacro convento di Assisi. La Rieti del 1.200 si trova infatti agli inizi dell’esperienza di san Francesco e non a caso, nel cammino del francescanesimo, i grandi riformatori sono passati tutti per i santuari del reatino. Non ci si può dunque limitare alla semplice memoria, alla citazione, pare dire mons Chiarimelli tra le righe: bisogna anche saper trarre le conseguenze.

A proposito di cultura, inoltre, dal campo storiografico si può passare a quello letterario con nomi come quello di Angelo Maria Ricci, ma anche alla pittura, al teatro o alla musica, rispetto alla quale andrebbe citato almeno Giuseppe Ottavio Pitoni, un compositore che figura tra le massime espressioni del barocco polifonico romano.

Percorsi d’indagine

Alla consegna di tratteggiare in sintesi il contesto della cultura locale, mons Chiarinelli ha poi aggiunto la proposta di un percorso d’indagine. A partire dalla figura dell’albero, il vescovo ha suggerito di indagare su quali caratteri comunitari scaturiscono delle «eredità ataviche» delle radici, dello sviluppo, della varietà dei rami che compongono il cammino reatino: qual è il “tipo” umano che emerge? In che modo le persone e l’ambiente sono in rapporto reciproco? Attraverso quali valori e con quali limiti possiamo leggere la realtà locale nel tempo presente? Don Lorenzo ha accennato una risposta invitando i presenti ad approfondire tre dei caratteri generati dal panorama ambientale, storico e culturale descritto: l’autosufficienza, la conservazione e l’individualismo.

Autosufficienza

Il senso di autosufficienza è un frutto diretto delle radici rurali. «Il contadino – ha spiegato mons Chiarinelli – a differenza dell’operaio è colui che vive da sé, è colui che ha tutto. Il contadino è autosufficiente. Questo ci spiega tante cose della storia e anche di questo nostro oggi. La mentalità rurale non è un vaso comunicante perché nel suo habitat c’è tutto». L’operaio ha una mentalità e una sensibilità diversa, perché la fabbrica non risponde a tutte le sue attese. Il contesto rurale, al contrario, corrisponde a tutte le attese e in questo modo crea una mentalità autosufficiente, rafforza la convinzione di bastare a se stessi, di poter rimanere in un ambito chiuso. E questo «chiede a chiunque voglia operare nel tessuto reatino di mettere al primo posto l’impegno di aprire l’orizzonte chiuso da un’autoreferenzialità atavica, che si traduce in tutti gli ambiti della vita: religiosa, culturale, sociale, economica, politica».

Conservazione

Anche quella della conservazione è una mentalità che viene dalle stesse radici. Perché nel mondo rurale ci si attiene ai cicli della natura: il sole che sorge sole e tramonta, le stagioni che si susseguono. Un mondo ripetitivo che invita a ripetere sempre gli stessi gesti, a fare sempre le stesse cose, ad adottare costantemente il medesimo approccio: sembra questa la sorgente della nostra mentalità, delle categorie interpretative che dall’epoca antica ad oggi abbiamo maggiormente adottato. Sotto questo sguardo, il nuovo – per essere nuovo – non può avere il nostro stesso corredo genetico, non può che venire dall’esterno. Un fatto che secondo Chiarinelli trova riscontro nel forte successo in città dei docenti giunti da fuori per insegnare nelle nostre scuole a partire dall’immediato dopoguerra.

Anche rispetto a queto carattere, vale lo sforzo già richiesto rispetto al senso di autosufficienza, si impone lo sforzo di aprire l’orizzonte. Lo spirito di conservazione chiede di guardare al futuro, impone la fatica rendere tutte le risorse funzionali al domani. Ma al momento sembriamo disattendere l’esigenza di utilizzare al meglio un retroterra culturale molto ricco.

Individualismo

Forse anche a causa di un diffuso individualismo, che a ben vedere viene fuori proprio dalla cultura dell’autosufficienza e della conservazione. «Dobbiamo vincere la diffidenza, la pigrizia, la rivalità, gli interessi personali», ha detto il vescovo Lorenzo. Un invito a non fare delle matrici culturali remote la tara che ci rallenta, ma la chiave di una identità moderna che sa valorizzare la globalità dei significati del nostro territorio, la sua identità. Dai paradigmi culturali che vengono da lontano e ci segnano ancora oggi dobbiamo trovare la forza di aprire l’orizzonte, per guardare al futuro e promuovere la solidarietà. Tre compiti che ci vengono richiesti dalla storia che stiamo vivendo e ai quali i numeri raccolti da RiData intendono offrire un terreno affidabile e condiviso da cui partire.