«Quel che siamo e quel che saremo»

Tutti i Santi. (Ap 7, 2-4.9-14; 1 Gv 3, 1-3; Mt 5, 1-12)

“Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?”. La domanda di uno degli anziani squarcia la visione apocalittica della fine della storia, così come viene efficacemente evocata nella prima pagina. Siamo ormai disabituati all’idea della fine. Ma ancor prima alla possibilità di un giudizio, di una valutazione, di una interpretazione. Ammiriamo pure, ma non comprendiamo il Giudizio di Michelangelo nella Cappella Sistina o, per venire a casa nostra, il Giudizio universale dipinto dell’oratorio di San Pietro da Verona e oggi incluso e custodito nell’area militare della caserma Verdirosi a Rieti. Trovandoci ad Antrodoco, siamo colpiti dalla bellezza del Giudizio entro lo spazio esagonale del battistero di S. Maria extra moenia, ma ci affrettiamo a guardare altrove. La verità è che siamo disabituati a vedere le cose dalla fine e ci limitiamo ad osservarle nel frattempo, ma così viene meno la visione e ci sentiamo intrappolati nel frammento che ci tocca vivere, senza decifrare che ci succede e soprattutto come andrà a finire. E così tiriamo a campare, mentre il tempo scorre inesorabile.

La solennità di Tutti i Santi e quella dei Morti che trascina con sè, fortunatamente ci riscatta da questa percezione sbiadita del vivere e ci fa ritrovare una certezza sempre cara al popolo cristiano. ”Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”. Ecco il punto. La fine, in realtà, è il fine per cui esistiamo. La nostra destinazione ultima non è quaggiù, ma va oltre questo spazio e questo tempo e si apre ad una sorpresa. Quella che Dio ci regala.

Non è un caso che anche nel celebre testo delle Beatitudini non conta tanto quello che fa l’uomo, ma quello che fa Dio. Per ben 9 volte Matteo mostra che Dio è qui, la consolazione è possibile, la terra è a disposizione di tutti, la giustizia viene, la misericordia pure e, soprattutto, Dio si vedrà. Per questo la pace non è più un’utopia e la giustizia un’illusione. Ecco perché i poveri possono sentirsi beati; perfino gli afflitti e i miti possono tornare a sperare e i puri di cuore, cioè quelli senza secondo fini, possono star tranquilli “perché grande è la… ricompensa nei cieli”.

Chi sono allora quelli ‘vestiti di bianco’? Sono i santi, cioè gli ‘amici di Dio’ che possono l’impossibile, diventando capaci di attraversare anche i momenti bui e le situazioni complicate, sorretti come sono dalla fiducia che la fine non sarà il fallimento, ma la salvezza. Il Giudizio, in realtà, è come togliere il velo a questa confusa percezione delle cose per cui hanno la meglio i ricchi, quelli che se la ridono, quelli che sono spregiudicati, quelli che disprezzano la giustizia. La conferma di questa rivelazione ce la offre la vita di tutti i giorni. Chi è veramente felice? Se siamo sinceri non quelli che il divismo di sempre lascia supporre. Non i vip, i potenti, gli arrivisti, i furbi. Ma più semplicemente ‘i poveri in spirito’ cioè quelli che vivono dignitosamente a dispetto delle cose; gli ‘afflitti’ cioè quelli che sanno accettare le contraddizioni della vita; i ‘miti’ cioè quelli che non pretendono sempre tutto ma si aprono a tutti; quelli che hanno ‘fame e sete della giustizia’, cioè non si accontentano di come stanno le cose; e soprattutto quelli che coltivano il desiderio di vedere Dio e non si perdono dietro ai suoi surrogati di sempre.

La festa di tutti i Santi allora è una giornata irripetibile per tornare ad ammirare quel che siamo e soprattutto quel che saremo. La storia non è quella che ci raccontano i libri, non è fatta solo dai titoloni delle cronache, né dai personaggi che appaiono e scompaiono. La storia siamo noi, cioè ciascuno quando scopre quello che la prima lettera di Giovanni, lascia intendere: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”.

La storia non è il fine e dunque neanche la fine di tutto, ma solo il passaggio. La storia è la passerella – non necessariamente sempre su red carpet – per coltivare quello che ciascuno desidera profondamente e che lo lascia puntualmente insoddisfatto. In realtà: “Noi fin da ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Lo vedremo! Questo desiderio incompiuto si chiama la fede e genera la speranza. E’ quanto basta però per reggere l’urto di una vita spesso priva di senso. Per sopportare dolori che restano come spine conficcate nella carne. Per resistere ad ingiustizie che provocano morte e distruzione. Lasciamo che questa speranza rianimi il nostro cuore confuso e lacerato. I santi che tanto ci entusiasmano, da San Francesco a Madre Teresa, sono la prova storica che è possibile.