Papa Francesco ai giovani: «sognate alla grande, come san Francesco»

Anche i giovani reatini tra le migliaia di giovani giunti a Roma da 200 diocesi italiane «per mille strade», come recita il logo dell’iniziativa organizzata dal Servizio nazionale della Cei per la pastorale giovanile.

Il gruppo – accompagnato anche dal vescovo Domenico – ha partecipato all’appuntamento con papa Francesco al Circo Massimo. Il pontefice ha fatto il suo ingresso poco prima delle 18.30 percorrendo ora sulla jeep bianca scoperta tutta l’area, immortalato dagli immancabili selfie dei ragazzi che si preparavano alla veglia di preghiera.

È cominciata così, in una Roma baciata dal solleone di agosto, la “due giorni” di incontro dei giovani italiani con Francesco, in preparazione alla XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

Dopo alcuni giri in papamobile e dopo l’indirizzo di saluto al Santo Padre di una rappresentante dei giovani italiani, si è sviluppato il dialogo del Papa con alcuni ragazzi.

Non lasciatevi rubare i vostri sogni

«I sogni sono importanti», perché «un giovane che non sa sognare è un giovane anestetizzato, non potrà capire la vita, la forza della vita», ha detto il Papa ai giovani al Circo Massimo, esortando i presenti a «trasformare i sogni di oggi nella realtà del futuro» e a sognare in grande, stando alla larga dai «sogni della comodità e del benessere, che addormentano i giovani e che fanno di un giovane coraggioso un giovane da divano».

«È triste guardare un giovane da divano», ha denunciato Francesco tornando su un tema a lui caro: «Giovani senza sogni, che vanno in pensione a 20, 22 anni». «Un giovane che sogna va avanti, non va in pensione presto!», ha esclamato Francesco: «I sogni grandi sono quelli che danno fecondità, perché pensano con il noi».

«Il contrario dell’io è il noi», non il tu, ha precisato infatti il Papa: «I veri sogni sono i sogni del noi. I sogni grandi sono estroversi, condividono, generano nuova vita. E i sogni grandi hanno bisogno di una sorgente inesauribile di speranza, hanno bisogno di Dio per non diventare miraggi o delirio di onnipotenza».

«I sogni dei giovani fanno un po’ paura agli adulti», ha proseguito Francesco: «Non lasciatevi rubare i vostri sogni».

Sognate in grande, come san Francesco

«C’è un ragazzo, qui in Italia, che cominciò a sognare alla grande»”, l’esempio scelto dal Papa: «Questo giovane, un italiano del XIII secolo, si chiamava Francesco, e ha cambiato la storia dell’Italia. Francesco ha rischiato di sognare in grande. Non conosceva le frontiere, e sognando ha finito la vita. Era un giovane come voi, ma come sognava! Dicevano che era pazzo perché sognava così, e tanto bene ha fatto perché sognava continuamente».

«Un giovane che è capace di sognare diventa maestro, con la testimonianza, perché la testimonianza smuove i cuori», ha detto Francesco: «Non si comprano i sogni, i sogni sono un dono, un dono che Dio semina nei vostri cuori. Ci sono dati gratuitamente, perché siano offerti gratuitamente agli altri».

Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia compiuto qualcosa di bene

No, allora, alla paura: «Siate voi pellegrini sulla strada dei vostri sogni, rischiate su quella strada. Perché la vita non è una lotteria, la vita si fa». «Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia compiuto qualcosa di bene», ha affermato il Papa citando Giovanni XXIII ed esortando il “popolo” del Circo Massimo a ripeterlo: «Il pessimismo ti getta giù, non ti fa fare niente. E la paura ti fa pessimista».

Non abbiate paura di pensare all’amore, ma all’amore vero

«Rischiate nell’amore, ma nell’amore vero, non nell’entusiasmo amoroso truccato da amore». È uno dei compiti affidati dal Papa ai giovani, nel dialogo “botta e risposta” al Circo Massimo, in cui Francesco ha spiegato che «l’amore è questo: vendere tutto per comprare la perla preziosa di altissimo valore, per questo è l’amore, l’amore fedele».

«Se c’è infedeltà non c’è amore, o c’è amore malato, amore piccolo, che non cresce», il monito di Francesco: «Non abbiate paura di pensare all’amore, ma all’amore fedele, che rischia, che fa crescere l’altro, che è fecondo. Ho visto, facendo il giro della piazza, alcuni bambini nelle braccia dei genitori: questo è il frutto dell’amore, del vero amore. Rischiate sull’amore».

«La libertà non ammette mezze misure», ha detto il Papa scagliandosi contro la cultura dominante che dice: «Scelgo, però…». «La libertà più grande è la libertà dell’amore», ha proseguito: «Il vero amore viene quando vuole. Non è pericoloso, perché i giovani sanno bene quando c’è il vero amore e quando c’è l’entusiasmo truccato da amore. L’amore non è una professione, l’amore è la vita. Se l’amore viene oggi, perché devo aspettare tre, quattro, cinque anni per farlo crescere, per farlo stabile? Nella vita sempre prima l’amore, ma l’amore vero. Dovete imparare a discernere quando c’è l’amore vero e quando c’è l’entusiasmo».

Il nemico più grande dell’amore è la doppia vita

«Il nemico più grande dell’amore è la doppia vita», ha ammonito il Papa: «Se tu incominci ad amare la doppia vita, l’amore si perde, l’amore se ne va. L’amore non tollera mezze misure: o tutto, o niente. Per farlo crescere non vanno le scappatoie: deve essere sincero, aperto, coraggioso. Nell’amore devi mettere tutta la carne sulla grigliata, così diciamo noi in Argentina».

Nel matrimonio, ha ribadito Francesco, «il compito dell’uomo è fare più donna la moglie, o la fidanzata, e il compito della donna è fare più oumo il marito o la fidanzata. Questa è l’unità, questo è l’ideale dell’amore e del matrimonio».

Lo scandalo nella Chiesa è la non testimonianza

I giovani ci chiedono «di accompagnare, di ascoltare, di dare testimonianza». Lo ha detto il Papa, rispondendo a braccio al Circo Massimo alle domande dei giovani. «Se io cristiano, sia fedele laico, sia fedele laica, sacerdote, suora, vescovo, se noi cristiani non impariamo ad ascoltare le sofferenze, i problemi, a stare zitti e lasciar parlare – ha spiegato Francesco – non saremo mai capaci di dare una risposta positiva e tante volte le risposte positive non possono darsi con le parole, ma rischiando se stessi con la testimonianza». «Dove non c’è testimonianza, non c’è lo Spirito Santo», ha ammonito il Papa: «Tra i primi cristiani si diceva: guardate come si amano. Sapevano ascoltare e poi vivevano come dice il Vangelo».

Il clericalismo è una perversione della Chiesa

«Essere cristiano non è uno status nella vita», ha proseguito: «Ti ringrazio, Signore, che sono cristiano: questa è la preghiera del fariseo, dell’ipocrita. Questo è cristiano o no? No, questo scandalizza, questo è peccato». «Ti ringrazio, Signore, perché non sono come gli altri», ha incalzato Francesco: «Questo è cristiano? No. Dobbiamo scegliere la testimonianza». «Una volta, a pranzo con i giovani a Cracovia – l’aneddoto – un giovane mi ha detto: ho un compagno che è agnostico, cosa devo dirgli per fargli capire che la nostra è vera religione?». «Incomincia a vivere come cristiano, sarà lui a domandarti perché vivi così», la risposta del Papa. «Lo scandalo è una Chiesa formale, non testimoniale», ha detto Francesco: «È una Chiesa chiusa, che non esce. Gesù ci insegna questo cammino di uscita da se stessi, il cammino della testimonianza. Lo scandalo è questo. Gesù bussa alla porta, ma da dentro, perché lo lasciamo uscire. Senza testimonianza lo teniamo prigioniero delle nostre formalità, delle nostre chiusure, del nostro egoismo, del clericalismo». «Il clericalismo è una perversione della Chiesa, che non è solo dei preti ma di tutti noi», il monito del Papa: «La Chiesa senza testimonianza è soltanto fumo».

Un intreccio di tanti cammini

«Grazie per questo incontro di preghiera, in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi», ha quindi aggiunto il papa, avviandosi verso il congedo dalle decine di migliaia di giovani che hanno passato due ore intense dialogando con lui. «Vi ringrazio anche perché questo appuntamento è stato preceduto da un intreccio di tanti cammini sui quali vi siete fatti pellegrini, insieme ai vostri vescovi e sacerdoti, percorrendo strade e sentieri d’Italia, in mezzo ai tesori di cultura e di fede che i vostri padri hanno lasciato in eredità», il riferimento ai pellegrinaggi delle 200 diocesi che si sono date appuntamento a Roma per la «due giorni» col successore di Pietro.

«Avete attraversato i luoghi dove la gente vive e lavora, ricchi di vitalità e segnati da fatiche, nelle città come nei paesi e nelle borgate sperdute», ha ricordato Francesco: «Spero che abbiate respirato a fondo le gioie e le difficoltà, la vita e la fede del popolo italiano».

Quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità

Poi il riferimento al branco del Vangelo di Giovanni che racconta la corsa di Maria Maddalena, Pietro e Giovanni al sepolcro vuoto di Gesù, in «quella mattina inimmaginabile che ha cambiato per sempre la storia dell’umanità». «Alle prime luci dell’alba del giorno dopo il sabato, attorno alla tomba di Gesù tutti si mettono a correre», il racconto di Francesco: «Maria di Magdala corre ad avvisare i discepoli; Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro… Tutti corrono, tutti sentono l’urgenza di muoversi: non c’è tempo da perdere, bisogna affrettarsi… Come aveva fatto Maria – ricordate? – appena concepito Gesù, per andare ad aiutare Elisabetta».

«Abbiamo tanti motivi per correre: spesso solo perché ci sono tante cose da fare e il tempo non basta mai», ha detto il Papa: «A volte ci affrettiamo perché ci attira qualcosa di nuovo, di bello, di interessante. A volte, al contrario, si corre per scappare da una minaccia, da un pericolo… I discepoli di Gesù corrono perché hanno ricevuto la notizia che il corpo di Gesù è sparito dalla tomba. I cuori di Maria di Magdala, di Simon Pietro, di Giovanni sono pieni d’amore e battono all’impazzata dopo il distacco che sembrava definitivo. Forse si riaccende in loro la speranza di rivedere il volto del Signore! Come in quel primo giorno quando aveva promesso: ‘Venite e vedrete’. Chi corre più forte è Giovanni, certamente perché è più giovane, ma anche perché non ha smesso di sperare dopo aver visto coi suoi occhi Gesù morire in croce; e poi perché stando vicino a Maria, la Madre, è stato ‘contagiato’ dalla sua fede».

«Da quella mattina, cari giovani, la storia non è più la stessa», il commento di Francesco: «L’ora in cui la morte sembrava trionfare, in realtà si rivela l’ora della sua sconfitta. Nemmeno quel pesante macigno, messo davanti al sepolcro, ha potuto resistere. E da quell’alba del primo giorno dopo il sabato, ogni luogo in cui la vita è oppressa, ogni spazio in cui dominano violenza, guerra, miseria, là dove l’uomo è umiliato e calpestato, in quel luogo può ancora riaccendersi una speranza di vita».

Non siate prudenti, correte più veloci

«Poiché siete giovani, io, come Pietro, sono felice di vedervi correre più veloci, come Giovanni, spinti dall’impulso del vostro cuore, sensibile alla voce dello Spirito che anima i vostri sogni». Lo ha confessato il Papa, che congedandosi dal Circo Massimo ha chiesto ai giovani un impegno esigente: «Non accontentatevi del passo prudente di chi si accoda in fondo alla fila. Ci vuole il coraggio di rischiare un salto in avanti, un balzo audace e temerario per sognare e realizzare come Gesù il Regno di Dio, e impegnarvi per un’umanità più fraterna».

Accogliete l’altro senza pregiudizi e chiusure

«La Chiesa ha bisogno di fratellanza rischiate, andate avanti!», ha aggiunto a braccio: «Sarò felice di vedervi correre più forte di chi nella Chiesa è un po’ lento e timoroso, attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente», ha proseguito Francesco: «Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci, come Giovanni aspettò Pietro davanti al sepolcro vuoto». «Camminando insieme, in questi giorni, avete sperimentato quanto costa fatica accogliere il fratello o la sorella che mi sta accanto, ma anche quanta gioia può darmi la sua presenza se la ricevo nella mia vita senza pregiudizi e chiusure», ha affermato il Papa a proposito del senso del pellegrinaggio: «Camminare soli permette di essere svincolati da tutto, ma camminare insieme ci fa diventare un popolo, il popolo di Dio. E questo dà sicurezza: la sicurezza dell’appartenenza al popolo di Dio… E col popolo di Dio ti senti sicuro, hai identità». Poi la citazione di proverbio africano: «Se vuoi andare veloce, corri da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno».

Gesù non è un eroe immune dalla morte, riscatta la fragilità

«Gesù Cristo non è un eroe immune dalla morte, ma colui che la trasforma con il dono della sua vita. E quel lenzuolo piegato con cura dice che non ne avrà più bisogno: la morte non ha più alcun potere su di lui», ha detto ancora il apapa, appoggiandosi alla narrazione di Giovanni, nel cui Vangelo «c’è l’umanità ferita che viene risanata dall’incontro con il Maestro; c’è l’uomo caduto che trova una mano tesa alla quale aggrapparsi; c’è lo smarrimento degli sconfitti che scoprono una speranza di riscatto. E Giovanni, quando entra nel sepolcro di Gesù, porta negli occhi e nel cuore quei segni compiuti da lui immergendosi nel dramma umano per risollevarlo». «Il Vangelo dice che Pietro entrò per primo nel sepolcro e vide i teli per terra e il sudario avvolto in un luogo a parte. Poi entrò anche l’altro discepolo, il quale vide e credette», ha ricordato Francesco, secondo il quale «è molto importante questa coppia di verbi: vedere e credere». In tutto il Vangelo di Giovanni, infatti, «si narra che i discepoli vedendo i segni che Gesù compiva credettero in Lui. Di quali segni si tratta? Dell’acqua trasformata in vino per le nozze; di alcuni malati guariti; di un cieco nato che acquista la vista; di una grande folla saziata con cinque pani e due pesci; della risurrezione dell’amico Lazzaro, morto da quattro giorni. In tutti questi segni Gesù rivela il volto invisibile di Dio». «Non è la rappresentazione della sublime perfezione divina, quella che traspare dai segni di Gesù, ma il racconto della fragilità umana che incontra la grazia che risolleva», il commento di Francesco.

Non abbiamo paura, non stiamo lontani dai luoghi di sofferenza

«Non abbiamo paura!». È l’invito della parte finale del saluto del Papa al Circo Massimo. «Non stiamo alla larga dai luoghi di sofferenza, di sconfitta, di morte», ha proseguito Francesco: «Dio ci ha dato una potenza più grande di tutte le ingiustizie e le fragilità della storia, più grande dei nostri peccati. Gesù ha vinto la morte dando la sua vita per noi. Quella mattina è cambiata la storia, abbiamo coraggio! Quanti sepolcri oggi attendono la nostra visita! E’ stato bello e faticoso il cammino per venire a Roma; ma altrettanto bello e impegnativo sarà il cammino del ritorno alle vostre case, ai vostri paesi e alle vostre comunità». «Il signore mi ama! Sono amato, sono amata!», la frase che il Papa ha esortato i giovani a ripetersi tornando a casa: «Allora la vita diventa una corsa buona, senza ansia, senza paura, quella parola che ci distrugge. Una corsa verso Gesù e verso i fratelli, col cuore pieno di amore, di fede e di gioia. Andate così».