Ottavario del vescovo Lorenzo, uomo «di proposta» e non soltanto di «risposta»

Monsignor Lorenzo Chiarinelli: uomo di “proposta” e non solo di “risposta”. Così il confratello Domenico Pompili ha confidato di averlo conosciuto e averlo avuto come amico, guida e modello, nel celebrare la Messa nell’ottavario della sua scomparsa, all’interno della chiesa di cui era “parrocchiano”. Una bella fortuna, ha detto Pompili, ha avuto la parrocchia di Regina Pacis ad avere «come abitante di questo territorio un credente che è stato davvero testimone» di quella capacità di diffondere gioia che, nel brano di san Paolo proclamata nella liturgia della festa di san Lorenzo, viene presentato come il tratto caratteristico del cristiano.

Proprio nel giorno dell’onomastico del figlio della Chiesa di Rieti donato come vescovo alle Chiese di Sora, di Aversa e di Viterbo è caduta la celebrazione dell’ottavario, e si è voluto celebrarlo nella chiesa parrocchiale del quartiere reatino in cui aveva abitato per anni da prete e dove ha trascorso gli ultimi dieci anni una volta “in pensione”. Nell’abitazione di via Ferrari, lunedì dell’altra settimana, monsignor Chiarinelli aveva concluso la sua esistenza terrena. E la parrocchia cui era molto affezionato, e che tanto da lui aveva ricevuto, non ha mancato di vivere un particolare momento di preghiera in suffragio del caro don Lorenzo, nella festa liturgica del martire romano suo patrono (nonché santo titolare della Cattedrale della diocesi viterbese di cui era vescovo emerito).

Monsignor Pompili è partito dalla frase di Paolo che parlando ai cristiani di Corinto invita ognuno a dare «secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza, né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia». Nell’invitare a contribuire alla colletta a favore della chiesa madre di Gerusalemme, l’apostolo, ha spiegato don Domenico, «fa intendere che questo deve accadere non per forza, ma volentieri, perché la prova provata dell’autenticità è per il cristiano la gioia con cui compie questo gesto di condivisione». Ed è questo che identifica la figura del martire: un testimone gioioso. Il martire, ha detto il vescovo, è «colui che mentre rende testimonianza a Dio, mostra anche una qualità della sua esperienza personale che migliora la vita di tutto l’ambiente in cui egli vive».

Il vero cristiano sa dare gioia: parliamo, ha precisato Pompili, «non della gioia di un attimo, che si esaurisce, e non della gioia infantile di chi quando sta bene lui stanno bene tutti, e neanche della gioia egoistica di chi sta pensa soltanto a se stesso, ma stiamo parlando di una serenità d’animo, che è per così dire un’atmosfera di fondo nella vita del credente che si espone all’altro con questo cuore aperto, segnato da questa serenità, di cui oggi c’è tanto bisogno», soprattutto in questo tempo in cui «spesso a prevalere è un atteggiamento pessimista e disfattista, che tende sempre un po’ a rimpiangere il passato, o comunque ad avere un atteggiamento sempre un po’ astioso e aggressivo, difficilmente aperto con un animo generoso alla realtà».

C’è dunque bisogno di credenti che sappiano essere “martiri” «nel senso autentico della testimonianza», che sappiano cioè «introdurre in questa atmosfera un po’ triste questo spirito più leggero, più rilassato, più aperto. E questo avviene quando le persone diventano mature: si diventa maturi quando diventiamo tutti più “padri” e più “madri”, in senso generativo: padre e madre è colui che ha messo l’altro, cioè i figli, davanti a sé».

La tristezza della società odierna, ha proseguito Pompili, è data anche dall’«inverno demografico» che la attanaglia. E a ha voluto accennare anche al tema attuale della pillola abortiva come esempio non certo luminoso: una notizia, ha rilevato il presule, «che, al di là di tutto (perché quando si dice che l’aborto rimane comunque un delitto non si vuole accusare nessuno, tanto meno la donna in quanto tale), dice di un’atmosfera che è segnata da questa tristezza, incapace di guardare oltre il proprio naso, e per questo si impedisce di avere una prospettiva di futuro».

Ecco perché è stata una fortuna, per la comunità reatina, aver avuto «una persona come monsignor Chiarinelli, che si è speso, senza mai risparmiarsi, con questo tratto caratteristico con questo tratto del garbo, della buona educazione e persino dell’ironia». Un credente che ha saputo vivere «in questo mondo un po’ triste con un tono sempre ispirato al sorriso, ma non privo di contenuti, bensì ricco di prospettive. È stato un uomo che non ha vissuto “di rimessa”, ma fino alla fine ha continuato a essere un uomo capace di “proposta”. E a me questa sua capacità di essere un uomo di “proposta” e non soltanto di “risposta” me lo ha accreditato come una persona non solo positiva, ma addirittura propositiva».

La conclusione dell’omelia Pompili l’ha affidata a un testo di Chiarinelli, trovato in un volumetto (dal titolo “A tu per tu con Lui”) che egli scrisse nel 1962, rivolto alle giovani di Azione Cattolica. L’allora giovanissimo prete scriveva: “Tu puoi donare il sole o puoi seminare la notte accanto a te. O gioventù bruciante o bruciata: a te la scelta!”. «Don Lorenzo evidentemente qui alludeva senza citarlo alludeva a quel film Gioventù bruciata, per dire che nella vita occorre decidersi se bruciare la vita per sé o per gli altri, per un ideale, per Dio. L’alternativa è tra la capacità di essere “bruciati” o essere “brucianti”. Preghiamo perché non ci accada di bruciare per noi stessi ma di bruciare per Dio Lui e per gli altri, così come ha fatto fino alla fine don Lorenzo».