Nel giorno del Signore soffia lo Spirito

Ha parlato della domenica mons Pompili rivolgendosi ai tanti fedeli che si sono ritrovati in Cattedrale, nella serata dell’8 giugno, per partecipare alla veglia di Pentecoste. Il momento in cui si celebra l’effusione dello Spirito Santo e la nascita stessa della Chiesa, è infatti sembrato quello più adatto per annunciare il tema del prossimo Incontro Pastorale di settembre. E sarà proprio la domenica l’argomento dell’appuntamento che chiama a raccolta tutte le componenti della Chiesa locale.

All’origine dell’annuncio

Non una scelta causale, ma quasi un ideale completamento del percorso iniziato con l’Incontro Pastorale del 2016. Fu svolto nei giorni immediatamente successivi al terremoto scegliendo una triade di verbi tra quelli nelle corde di papa Francesco: camminare, costruire, confessare. Fu un modo per indicare uno stile, per «ritrovare il ritmo della vita cristiana», ha spiegato don Domenico, ricordando che l’anno successivo si guardò al rapporto tra le generazioni, alla necessità di tessere il dialogo tra giovani e adulti, perché «la fede è trasmissione» e se si interrompe la tradizione essa è a rischio. Dopo il ritmo, si è andati dunque a cercare i soggetti della vita cristiana. E a loro, nell’Incontro Pastorale celebrato lo scorso settembre, è stata indicata anche una missione: quella di tenere viva la dimensione sociale dell’evangelizzazione.

«Come ha detto il papa questa sera, noi vogliamo lasciarci condurre per mano dallo Spirito per andare al centro della città e percepirne il grido e il gemito», ha ripreso il vescovo. Ma il compito, ha aggiunto, può essere eseguito solo traendo la forza dalla domenica. Essa è infatti ciò che caratterizza i cristiani, la cui fede non è «movimentista», ma trae la propria vitalità dalla comunità. «Chiesa significa “convocazione” – ha sottolineato mons Pompili – se non si raduna, nega se stessa».

Nel giorno del Signore soffia lo Spirito

Nel ragionamento del vescovo hanno risuonato le parole del profeta Ezechiele. Egli aveva dovuto assistere impotente all’assedio e alla caduta di Gerusalemme: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti». Eppure il Signore gli fa profetizzare parole di speranza: «Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete». A garantire la permanenza del popolo di Israele in mezzo alla diaspora, a fondare la sua tenuta, fu una cosa sola: «il rispetto del giorno del sabato». Fu grazie a questo istituto che pure lontano da Gerusalemme, «il popolo conservò la sua identità e trasmise la sua fede». Al punto da poter affermare che «non è tanto Israele che ha custodito il sabato, ma il sabato che ha custodito Israele».

Per i cristiani la domenica è altrettanto centrale. «Se guardiamo alla condizione della Chiesa oggi, sembra di poter vedere qualcosa di analogo: ci sentiamo una minoranza inserita in un contesto non cristiano, in una sorta di dispersione che rende sempre più sfilacciato il tessuto comunitario e più forte il desiderio di omologarsi il mondo». Ma la lezione di Israele sul sabato «insegna che l’osservanza del giorno del Signore è anche per noi una condizione essenziale per non cedere alla mondanità, per conservare e trasmettere la fede».

Il tempo è più importante dello spazio

E non solo, perché la domenica rimette nelle giuste proporzioni le cose della vita: «senza la domenica è difficile anche ritrovare il giusto rapporto con il tempo, che per noi credenti è più importante dello spazio», ha insistito il vescovo: la domenica salva dalla «corsa contro il tempo che ci fa dire, sconsolati, “non ho tempo”». Una patologia del quotidiano che nasconde «una forma di idolatria», perché smettiamo di ordinare il tempo e ne veniamo dominati.

Otium, negotium

Va invece recuperata la distinzione antica tra l’otium e il negotium: la contrapposizione «tra il tempo dedicato alla contemplazione, agli affetti, alla ricerca» e quello «dell’avere, del possedere, degli affari».

Un bene per l’intera società

«Se sparisse la domenica, non sarebbe un danno soltanto per la fede cristiana. Sarebbe un danno per tutta la società», ha poi aggiunto don Domenico: «vorrebbe dire che lavoriamo solo in funzione dell’utile e per il profitto e ci impediamo di cogliere ciò che è più essenziale nell’esistenza; la dimensione dell’amore» cioè di Dio, di un tempo diverso da quello “formattato” dalla produzione e del consumo. In questo senso la riscoperta della domenica da parte dei cristiani è un servizio reso a tutta la società: «se la domenica non suonassero le campane, se non si radunassero le nostre comunità, per quanto piccole e a volte sgangherate, qualcosa verrebbe meno anche per la comunità più ampia».

La domenica fa padroni di se stessi

«La domenica ritrovarsi insieme nell’ascolto della parola, nella frazione del pane, nella comunione, significa introdurre un principio alternativo a quello che regola la vita di ogni giorno» ha insistito il vescovo. «Perciò invochiamo lo Spirito sopra di noi: non sapremmo cosa fare se perdessimo il giorno del Signore, che è anche il giorno in cui ciascuno di noi si sente signore», cioè padrone di sé, «non perché in funzione di qualche cosa, ma semplicemente perché è».