Maria Assunta, luce e guida di metà agosto

Giorno di luce e di vittoria, la Madonna di mezz’agosto. Giorno posto un po’ a cerniera fra la pienezza dell’estate e il suo epilogo che riprende il cammino verso l’inverno. La riflessione, nelle suggestioni della festa liturgica dell’Assunta e delle letture della sua liturgia, il vescovo Domenico l’ha proposta a due affollate assemblee riunite al mattino in uno dei lembi ai margini dei confini diocesani e alla sera nel monte che domina la città, questa assai povera di presenze mentre il pienone è assicurato nei paesi come Borgorose, dove monsignore si è recato per la celebrazione eucaristica mattutina, e nelle stazioni turistiche come il Terminillo, dove – pochi giorni dopo la festa della Trasfigurazione – è nuovamente salito per presiedere, come è ormai tradizione negli ultimi episcopati, la Messa vespertina del 15 agosto.

Nella parrocchia di Sant’Anastasia nel paese dell’alto Cicolano, dove è stato accolto da don Nazzareno Nicolai e dalla comunità cristiana dei fedeli del posto e dai tanti oriundi tornati per le ferie al luogo natio, e al templum pacis terminillese, dove ha presieduto l’Eucaristia introdotta dal saluto del parroco padre Mariano Pappalardo e concelebrata dal vice parroco don Luca Scolari e dal padre conventuale liscianese Luigi Faraglia (ora membro della comunità francescana interobbedenziale di Rieti e per tanti anni parroco al Terminillo), don Domenico è voluto partire, nell’omelia, dalle parole di san Paolo sulla morte come “ultimo nemico” che sarà annientato dal Cristo vittorioso, annientamento di cui l’assunzione in cielo della Vergine in anima e corpo è segno anticipatore.

E le suggestioni della giornata ferragostana richiamano questa speranza: infatti, ha detto monsignore, «al culmine dell’estate questa festa dell’Assunta, che è come dire la “pasqua”, cioè il passaggio di Maria da questa terra al cielo, mette in evidenza una questione che il ferragosto meteorologico evoca, senza dirlo. Il ferragosto è chiamato popolarmente anche “Capo d’inverno”, per indicare che dopo l’acme del sole, del caldo, della luce, comincia la fase discendente dell’inverno che è fatto di poco sole, di molto freddo, di pochissima luce… E a pensarci, viene da dire: non è così anche la vita? Non è forse una vertiginosa salita e poi una rapida discesa? Diceva un famoso regista che ha fatto la sua fortuna coi film sull’estate, che sono quelle “venti estati”, tra i 20 e i 40 anni, che non tornano più…».

E come sollecito alla riflessione Pompili non ha esitato a proporre un elemento della cronaca di questi giorni: la scomparsa dell’appena quarantenne “iena” Nadia Tolfa, in riferimento al suo libro uscito pochi mesi fa, con un titolo perfettamente congeniale per questo discorso: Fiorire d’inverno. Libro in cui spiega “come sono riuscita a trasformare quello che tutti considerano una sfiga, il cancro, in un dono, un’occasione, una opportunità”, le parole della giovane giornalista citate dal vescovo. Parole che «hanno suscitato un vespaio di polemiche, sui social, da parte dei soliti odiatori di professione che hanno sentito il bisogno di prendere le difese non si sa bene di chi… Ma “fiorire d’inverno” per Nadia non ha significato solo il suo combattimento, ma anche di apprezzare la vita per quello che è, cioè un dono».

Infatti, ha sottolineato don Domenico, «noi spesso siamo tentati di perdere in tanti dettagli che ci impediscono di cogliere che la vita è una grande opportunità, è un dono indicibile, è una occasione irripetibile».

Un’esperienza con cui ha imparato «a non dare spazio a vuoti pettegolezzi, a quelle guerre quotidiane che ci portano a contrapporci alle inutili furbizie con cui ciascuno cerca di farla franca, ci ha mostrato di aver scoperto che nella vita nessuno è autosufficiente e non esiste in realtà nessuna autorealizzazione, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ha mostrato lei, così giovane, di affidarsi alla vita nonostante tutto e alla sua promessa». Anche la parola del brano dell’Apocalisse che la liturgia dell’Assunzione di Maria propone come prima lettura «evoca una guerra tra un enorme drago rosso e una donna fragile incinte. Ma la certezza che si fa strada alla fine è che la donna fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio», come a dire di questa vittoria che nonostante l’atroce “guerra” alla fine emerge.

E il brano evangelico della visita di Maria ad Elisabetta mostra «questa donna completamente affidata a Dio anche in circostanze che sembrano completamente avverse». Maria, ha messo in evidenza il vescovo, «non si lascia immobilizzare dalle difficoltà che non mancano, ma le attraversa e addirittura si fa prossima della sua anziana cugina e poi se ne torna a casa per riprendere la sua quotidianità, trovando la forza di portare avanti la sua sorprendente gravidanza». Un insegnamento prezioso, secondo Pompili: «Per resistere alle contrarietà della vita e al male, anche quello fisico che non ha spiegazioni razionali, la cosa più importante è affezionarsi alla vita come tale, cercando sempre di riscoprirla come dono, senza lasciarsi prendere dalla smania di voler tutto e subito», con la capacità, invece, «di gustare ogni goccia di vita, ogni attimo che ci è concesso».

E così «l’apertura al dono ci renderà grati e non rivendicativi, aperti e non chiusi, in movimento e non statici». E proprio Maria appare in questo modo «e ci rivela la sua fede, che non è un vestito per le grandi occasioni, ma è un modo di stare al mondo e di interpretare la vita come lei ha fatto».