La riflessione del vescovo Domenico ai giovani riuniti a Leonessa: «Occorre individuare il nostro talento, e poi coltivarlo»

Veni, Sancte Spiritus, intonato dal trombone, seguito da flauto e clarinetto, poi organo, voci del coro e a ruota da tutta l’assemblea che trasforma il parterre del palasport leonessano in aula di
preghiera. Il momento spirituale che, dopo l’entusiasmante spettacolo di “sand art” di Gabriella Compagnone, conclude la prima serata del meeting dei giovani si apre con la dolce invocazione allo Spirito Santo.

Dopo la recita del Salmo 134, la lettura del brano evangelico della parabola dei talenti, proclamata da don Luca con sottofondo musicale, viene in contemporanea animata dall’arte su granelli di sabbia di Gabriella che interpreta i passaggi del noto racconto parabolico sui doni affidati dal padrone ai servi.
Il quadro finale che emerge dalle mani di Gabriella è quel che offre lo spunto al vescovo Domenico per la riflessione che propone, guardando proprio come la sand artist ha riscritto questa parabola, interpretando il protagonista negativo di essa, il servo infingardo che sotterra il talento ricevuto, come uno che scompare a lato, «con il tratto caratterizzato da una mano chiusa, a differenza dell’altro che ha la mano aperta da cui fiorisce tutto il suo talento».

Quel servo infedele, sottolinea monsignor Pompili, «non è semplicemente pigro, o depresso, piuttosto è come impaurito, potremmo dire, riecheggiando le parole di stasera, ha paura del fallimento, perciò gioca di anticipo, tenendo il talento sottoterra per paura che vada a male. Che cos’è il talento? Lo dico per voi generazione cresciuta a pane e talent show, che come avrebbe detto il celebre Warhol è semplicemente quei 15 minuti di celebrità e poi si scompare nel nulla… perché è semplicemente una tv che fa spettacolo a buon mercato, strumentalizzando i giovani ma non lanciandoli veramente dentro le proprie capacità. Il talento è invece la forza di gravità per cui un uomo decide di stare al mondo in un certo modo, e così stabilisce il suo modo di rapportarsi al mondo, agli altri, a Dio. È una forza di gravità, un insieme complesso di caratteristiche che si scoprono fin dall’infanzia e si raffinano nella fase dell’adolescenza, come ha raccontato Gabriella riguardo la sua esperienza».

Il talento, prosegue don Domenico, «è un insieme di caratteristiche che sono una somma di predisposizione naturale più le condizioni ambientali. Come se noi facessimo una cosa da una parte delle dieci cose che amiamo e dall’altra quelle che sappiamo fare, quando scopriamo quelle che coincidono, allora questo è talento. Occorre che ci siano tutte e due queste cose, amare e saper fare, e tutto questo è un apprendistato».

Allora, il talento dato a ciascuno di noi «occorre individuarlo, poi coltivarlo, e poi resta la fortuna, che come dice Seneca non esiste: esiste solo il momento in cui il talento incontra l’occasione. Questo è il modo in cui Dio valorizza ciascuno di noi. E questa è la ricchezza dell’umanità che fiorisce grazie al talento di ciascuno di voi. Perciò questa parabola è in qualche modo ciò che ci
aspetta: nonostante il servo pigro e impaurito, questa parabola fa l’elogio di ciò che c’è dentro ciascuno di noi. Oggi, che è l’epoca delle passioni tristi, ciò che manca è proprio la capacità di ciascun giovane a tirar fuori il talento che ciascuno è. Avere fiducia è proprio tirar fuori questo talento, così Dio scommette su ciascuno di noi e così la vita di tutti si arricchisce».

Subito dopo il gesto – accompagnato dal suono del Sicut cervus del Palestrina e di un canto di Frisina, eseguito dal trombonista Luca, dalla flautista Barbara e dalla clarinettista Elisa – ecco che a tutti vengono passati dei “talenti” di legno con inciso il logo del meeting e un sacchettino che – al termine, dopo le preghiere di intercessione, il Padre nostro e la benedizione del vescovo – tutti sono invitati a riempire di terra.

Il perché? Lo si scoprirà oggi, nella seconda giornata di questo meeting.