La fiaccolata dei ragazzi illumina il centro storico di Leonessa

Una grande croce scortata da due torce in apertura del cammino che dal palazzetto dello sport attraversa la via di accesso a Leonessa e, varcata la porta che introduce intra mœnia, percorre tutto il corso fino alla piazza, prima di entrare nella bellissima chiesa (recentemente riaperta dopo i danni del terremoto) di San Pietro.

Il pomeriggio del sabato, per i giovani del Meeting, si è concluso con un intenso momento spirituale, con un procedere silenzioso nello scendere della notte rischiarato dalle fiammelle dei flambeaux dei partecipanti. Cammino scandito da quattro tappe segnate dalla riflessione sulle urgenze di giustizia richiamate dalla Laudato si’ di papa Francesco: i poveri, il creato, il lavoro, le relazioni.

In ciascuna di queste tappe lungo il percorso, ogni partecipante apre il sacchettino con il “talento” ricevuto il giorno prima e riempito con un po’ di sabbia, aggiungendovi a ogni tappa diverso terriccio, in “rappresentanza” dei vari tipi di suolo del nostro Paese: dopo la sabbia delle coste, ecco le pietre dei nostri monti, la ghiaia delle nostre pianure, il terriccio delle nostre colline, i trucioli di corteccia dei nostri boschi… Ognuno di essi vuol avere un valore simbolico, secondo la spiegazione che ne darà Mattia e che condurrà poi all’impegno che verrà svelato l’indomani, al termine del Meeting: tenere il proprio talento non sotterrato, ma farlo in qualche modo “marcire”, cioè metterlo a disposizione della causa comune per farlo germogliare e diventare così persone che si “spendono” per gli altri.

Perché un nuovo rapporto con il denaro è possibile, ribadisce, ai giovani radunati al termine della fiaccolata nella stupenda cornice della cripta di S. Pietro, il vescovo Domenico nella meditazione dettata durante il canto dei Primi Vespri della domenica della Santa Famiglia. Lo spunto lo offre il brano previsto dalla liturgia che calza a pennello, con le parole di san Paolo che, nello scrivere ai cristiani di Corinto per esortarli a mostrare la propria generosità, indica loro il modello di Cristo che «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà».

L’ostacolo di tutto, l’unica cosa che in tutto il Vangelo vede Gesù in forte contrapposizione, è, dice il vescovo, “mammona”, il denaro. È il denaro che «ci rende impermeabili e ci fa incapaci di comprendere».

Le quattro questioni che hanno scandito il cammino della fiaccolata ruotano tutte attorno a un cattivo rapporto col denaro. Cominciando dalla prima: «perché esistono i poveri? Le risorse nel mondo sono a profusione! Perché ancora oggi stiamo qui a discutere del fatto che invece c’è una povertà molto diffusa, con otto persone che detengono il 60 per cento, una concentrazione delle risorse esasperata. Perché esistono ancora i poveri? Non secondo la retorica della serie “se sono poveri se la sono cercata”: più che criminalizzare la povertà, il problema sarebbe interrogarsi sule sue cause».

«Poi il creato: perché esiste questo drammatico problema che questo mondo può essere sovvertito. Sempre per problemi di denaro: laddove ci sono interessi economici non si guarda in faccia a nessuno. La foresta amazzonica non è solo un problema di quella terra, ma ci dice quanto l’impero economico possa strafare».

Terza problematica, quella relativa al lavoro: spesso, riflette Pompili, «il lavoro oggi non c’è, ma non c’è perché mancherebbero le cose da fare o da inventarsi? No, perché ci sono spesso persone che non sono capaci di far circolare le risorse e tendono a un profitto tale che emargina la possibilità per gli altri di beneficiarne».

Infine, le relazioni, «che in qualche modo vengono contaminate» sempre per colpa di “mammona”, insiste don Domenico. «Fino a quando nel mondo ci saranno queste evidenti diseguaglianze non possiamo pensare che ci sia calma, pace e sicurezza: la sicurezza non la si ottiene alzando i muri e cercando di mettersi d’accordo con dei bodyguard che ci proteggono, si ottiene se cerca il livello dell’equità».

Tutto sta allora nel liberarsi dalla schiavitù del denaro, cercando quella “povertà che rende ricchi”. Che significa, spiega il presule, «sapere che tutto ciò che abbiamo lo abbiamo per condividerlo. Questa è la povertà che diventa ricchezza. E questo è ciò che dobbiamo cercare di fare a livello innanzitutto dei nostri talenti, perché ciascuno di noi ha delle chances che deve cercare di sfruttare non solo per se stesso ma deve in qualche modo trafficare».

Un discorso che «vale anche per le risorse di tipo economico: un’economia diversa è possibile se però c’è qualcuno che non si limita a pensare soltanto a se stesso, se sa rischiare pur di offrire ad altri questa possibilità».

Ecco dunque che «la povertà che diventa ricchezza non è semplicemente la miseria: Gesù era uno che non amava la miseria, anzi mostra di avere un grande apprezzamento per la vita in tutti i suoi aspetti. Quello che detesta Gesù è l’avidità: questo è il vero nemico. E l’avidità è una forma di deprivazione dell’umano, perché significa che siamo talmente taccagni e chiusi in noi stessi che ci impediamo di sperimentare quanto il nostro condividere possa diventare una grande ricchezza».

Solo questa, allora, la via «che può cambiare i nostri rapporti, la nostra relazione con l’ambiente e può in qualche modo sanare il grido dei poveri e quello della terra».