La comunità del Terminillo si unisce in festa per il “sì” di Pietro

Il cuore di ogni monaco è come un pontile: luogo da cui ognuno può salpare, luogo in cui ognuno può trovare approdo. Sono state stampate queste parole, nel cartoncino di invito per la professione perpetua di Pietro Zych.

Le stesse parole che ha voluto rimarcare padre Mariano Pappalardo, al termine della giornata festosa ed emozionante che ha vissuto la Fraternità monastica della Trasfigurazione del Monte Terminillo: «Sì, perché la vita di un monaco da’ molta importanza alle relazioni, quelle che abbiamo coltivato con tutti voi, che oggi avete ricambiato tramite la vostra affettuosa presenza. Relazioni tutte importanti e piene di significato, come ad esempio quella con il mosaicista Livio Savioli, che l’anno scorso era qui e ci è stato d’ispirazione con la sua splendida opera intitolata Il pontile, e ora esposta nella nostra cappella dedicata a san Benedetto». E anche l’artista padovano Savioli, mescolato tra la folla, non è certo voluto mancare al grande giorno.

Una sentita e partecipata celebrazione eucaristica ma anche una festa di comunità dal sapore collettivo che tutta la montagna aspettava con trepidazione. Correva voce da tempo, che il giovane Pietro, ormai perfettamente integrato nel tessuto sociale del Terminillo, sarebbe diventato monaco a tutti gli effetti, e la gioia per l’evento si percepiva già dalle settimane precedenti. Gli esercizi commerciali avevano esposto l’avviso, i turisti abituali si passavano parola, i residenti non sarebbero mancati per nulla al mondo. E domenica 1 settembre, nel Templum Pacis sul monte, di fronte all’imponente azzurro del grande mosaico absidale, una numerosa folla ha salutato in tenuta elegante e senza i consueti zainetti in spalla l’entrata di Pietro nella grande famiglia dei benedettini.

Seduta al primo banco, la sua emozionata famiglia: papà, mamma e sorella arrivati dalla Polonia insieme ad amici e parenti. Nelle prime file, le dame e i cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme con le loro tradizionali insegne. A presiedere la celebrazione, il vescovo Domenico.

«San Benedetto di indica tre qualità che ossigenerebbero il dibattito pubblico: sobrietà, serietà, delicatezza. Credo che Pietro sia abbastanza sulla strada giusta, ma l’essere monaco lo aiuterà ancora di più su questa via che rende la comunicazione più sostenibile, più accettabile, più ascoltabile – ha detto monsignor Pompili durante l’omelia – , che sono la sobrietà, la serietà e la delicatezza. E tu Pietro, le incarni bene. Perché essere monaci vuol dire essere una persona che comunica con umiltà, e in grado di pronunciare parole delicate, perché l’altro con si chiuda a riccio».

Difficile, quasi arduo, in una società come la nostra, trovare persone che sottolineino con le loro azioni il valore della gratuità di un dono. Un dono oggi diventato quasi introvabile che invece, ha sottolineato il vescovo, « è la radice profonda del monachesimo. Ciò che fa di questa scelta di vita in castità, povertà e obbedienza una provocazione è la sua totale forma di gratuità. Il monaco non cerca alcuna forma di compensazione e si lancia libero verso la vita senza alcuna forma di protezione che non sia la Parola, la comunità, il lavoro e l’ospitalità».

Parole che i tanti occhi lucidi tra i banchi della chiesa non possono che sottolineare e confermare. Perché la Fraternità monastica del Terminillo è prima di tutto accoglienza. Accoglienza per il riposo dei pellegrini. Punto di riferimento per i pochi residenti, che condividono dal lontano 1997 con i monaci le difficoltà del rigido inverno, e aprono insieme le braccia alla pacifica invasione dei turisti in cerca di refrigerio durante i mesi estivi. Il Templum Pacis con il suo enorme mosaico è ristoro per occhi e mente, il cartellone degli eventi culturali è svago per cuore e testa, la foresteria è oasi di pace per sfuggire qualche giorno alla frenetica routine quotidiana. E le porte sono sempre aperte, per chiunque abbia bisogno di un momento di sfogo, o solo di un abbraccio o un sorriso da padre Mariano o padre Luca. O da parte di Pietro, o il nuovo arrivato Gregorio, indiano di origine ma già a suo agio in alta quota.

Sempre con umiltà, «non virtù dei deboli ma energia dei forti», come ha voluto sottolineare il vescovo. Pietro si sdraia a terra, ripete le promesse secondo la regola benedettina, riceve la cocolla e il libro. Durante il rito, padre Luca e padre Mariano di interrompono più volte, con la voce incrinata dalle lacrime. Lacrime sciolte negli abbracci liberatori, prima del grande pranzo di festa, tutti insieme. «Oggi hai giurato di essere monaco – conclude la guida della Fraternità, padre Mariano Pappalardo – la vita è lunga, ci saranno tante difficoltà, potrai andare in Sudamerica o in molti altri posti, ma noi cammineremo sempre affianco, per affrontare insieme le cose materiali e quelle spirituali».

Un brindisi di buon auspicio per la “nuova vita” conclude una giornata speciale, e il taciturno festeggiato rompe la sua mitezza per un piccolo ma sentito ringraziamento: «Grazie ai miei padri, al vescovo, a tutti voi che mi avete reso felice per essere venuti fin quassù per condividere questo importante giorno con me. Ho sentito il vostro accompagnamento nei giorni scorsi, e vorrei sentirlo ancora, per cui proseguite a pensarmi, e a pregare per il mio percorso, che non solo non si conclude qui. Ma qui incomincia».