Incontro Pastorale, il vescovo: tre vie per riscoprire la Domenica

Un ulteriore elemento di riflessione, nel secondo giorno di lavori per la comunità diocesana radunata al centro pastorale, è il vescovo Domenico a offrirlo all’assemblea tornata “in plenaria” dopo essersi divisa nei gruppi che hanno esaminato diverse sfaccettature del vivere il giorno del Signore. Nel salone della struttura di Contigliano, il sabato pomeriggio dell’incontro pastorale si conclude con la celebrazione vespertina. E con l’aiuto del coro parrocchiale di Santa Barbara in Agro – diretto da suor Giuditta Parente con Sara Turani all’organo – tutti i presenti si uniscono nel cantare i salmi dei Primi Vespri domenicali.

Dopo la lettura breve, la meditazione di monsignor Pompili si dipana a partire dalle parole appena proclamate – “Il Dio della pace vi renda perfetti in ogni bene per mezzo di Gesù Cristo” – che costituiscono la conclusione della Lettera agli Ebrei, «vero gioiello intellettuale e spirituale», commenta il vescovo, evidenziando il pregio di questo scritto che purtroppo costituisce «uno dei libri del Nuovo Testamento meno familiare» pur avendo «un grande pregio: ci dice che la liturgia è la sintesi di tutto ciò che Cristo ha fatto per l’uomo». Un po’ come il libro dell’Apocalisse, «che è una liturgia di immagini che si succedono a ritmo incalzante» che resta poco conosciuto dai cristiani…

E già: sembra quasi che la liturgia, resti, nei fatti, «qualcosa di estraneo dalla nostra esperienza quotidiana: eppure la parola “liturgia” significa “azione del popolo”! Persino nel linguaggio ci sono tracce indelebili del fatto che è quella da cui nasceva la vita» (la parola orologio), dice don Domenico, citando l’esempio della parola “orologio” che, come aveva detto Andrea Grillo nella relazione del giorno precedente, deriva dalla liturgia orientale, o un esempio più quotidiano per noi quale «il “mattutino”, nome del tenero biscotto, che fa riferimento alla preghiera alle prime luci dell’alba». Sì, perché non dobbiamo mai dimenticare che «la liturgia è ciò da cui si sprigiona la vita, persino la cultura, il linguaggio».

Ecco, dunque, una prima sfida per l’azione pastorale: «Se la liturgia appare ad alcuni come qualcosa di anacronistico, di lontano, di devozionale, dobbiamo trovare la strada per superare questa impressione, perché la liturgia fa nascere la vita e sprigiona la nostra esperienza». E alla luce dei lavori dell’incontro pastorale, in attesa dei resoconti dei lavori di gruppo e delle indicazioni con cui l’indomani traccerà la sintesi per il cammino della Chiesa locale, monsignore inizia a delineare «già tre cose da poter condividere nel tempo che verrà».

Prima sottolineatura, riprendendo un punto fondamentale dell’intervento di Grillo: «rifiutare questa idea bipartita del tempo, del lavoro e dello svago, ribadendo c’è un terzo tempo, che non è semplicemente tempo del lavoro e dello svago: è tempo della festa, che ha la qualità di far risvegliare il noi. Se siamo diventati incapaci di festeggiare è perché il virus che attanaglia anche la Chiesa è l’individualismo»: vero demone, questa concentrazione sull’io, che, rileva Pompili, «ci ha fatto perdere, anche a noi come Chiesa, il senso di comunità alternativa, che è poi quello che attrae».

La seconda strada da percorrere secondo il vescovo: «trovare percezione di essere parte di un corpo, innestati come tralci alla vite che è Gesù Cristo. Se facciamo troppo leva su simpatia, convergenze psicologiche, capacità di stare insieme facciamo poca strada. Ciò che può dare la forza di stare insieme è solo lui, Gesù Cristo. E la liturgia ci offre lui. Nella liturgia ogni gesto, ogni attimo, ogni silenzio, persino ogni profumo deve essere orientato a essere uniti con lui, a percepire la sua presenza che ci permette di fare un salto verso la comunità».

Infine, ricordare sempre che «la liturgia per essere azione del popolo non si improvvisa e richiede uno sguardo d’amore. Quel che rende un’azione simbolica quale la liturgia è proprio la qualità del nostro coinvolgimento personale. La solennità di una celebrazione non è data dal numero dei partecipanti: si può essere anche in pochissime persone (Gesù stesso si è tenuto basso: dice “dove due o tre sono riuniti nel mio nome…”). La solennità è data da questo coinvolgimento personale, consapevole, attivo, non da spettatore. Ogni celebrazione non può essere sciatta, gettata lì, deve essere frutto di una scelta che ci fa cominciare di nuovo».

Basti pensare, conclude monsignore, a quell’aforisma che ancora oggi leggiamo esposta in bella vista in qualche vecchia sagrestia: “Celebro questa Messa come se fosse la prima, l’unica, l’ultima Messa”: è questa, dice, «la perfezione a cui dobbiamo tutti tornare, come laici e come pastori».