Incontro con gli operatori pastorali. Verso il cuore dell’anno liturgico

Sabato 2 marzo gli operatori pastorali della diocesi si sono ritrovati presso il Centro pastorale di Contigliano per il consueto incontro con il vescovo alla vigilia della Quaresima. Monsignor Pompili ha centrato il discorso sul triduo pasquale, vero e proprio «cuore dell’anno liturgico», affinché «ciascuno possa trarre dalla riflessione ciò che gli è più utile»

Sono state tutte occupate le sedie del centro pastorale di Contigliano per l’incontro degli operatori pastorali con il vescovo Domenico alla vigilia del tempo di Quaresima. Un appuntamento che quanti sono impegnati in parrocchia nell’assistenza liturgica, nel catechismo o nella Caritas vivono due volte l’anno, con l’evento speculare in Avvento, per raccordarsi con il pastore della diocesi, per ascoltarlo e confrontarsi. A tutti – laici, suore, diaconi e sacerdoti – mons Pompili ha espresso innanzitutto il suo grazie, «perché se questa Chiesa vive è soprattutto attraverso le vostre gambe, la vostra intelligenza, le vostre braccia. Senza il vostro contributo non ci sarebbe una Chiesa in cammino». Poi, sulla soglia dei giorni che preludono alla Pasqua, don Domenico ha voluto proporre una riflessione sul Triduo pasquale. Esso, ha spiegato monsignore, è il “cuore dell’anno liturgico”, dal quale ciascun operatore deve rivolgersi per «trarre ciò che è più utile alla propria condizione e ai servizi che si svolgono nella comunità cristiana».

L’intuizione di Guardini

A dare spunto al discorso, un breve video, ricavato da una particolare esperienza vissuta dal grande teologo Romano Guardini in occasione di una celebrazione pasquale nello splendido Duomo di Monreale. Parole e immagini sulle quali il vescovo ha argomentato in favore dell’importanza dell’ammirare nel rapporto tra il fedele e la Chiesa, tra l’uomo e Dio. Quell’esperienza che segnò profondamente Guardini, ha spiegato mons Pompili, «ci dice qualcosa del fascino della liturgia e di come sia possibile anche oggi nei nostri contesti fare un’esperienza diretta della comunicazione della fede». Infatti «l’ammirazione è ciò che è più necessario per entrare nella Chiesa: ciò che colpisce è oggi la figura di Cristo risorto. La Chiesa può essere osservata da tanti punti di vista, ma ciò che colpisce non sono le sue strutture, sempre carenti, né le sue attività caritative, che sono sempre una goccia nell’oceano, né i suoi membri, la cui consapevolezza non è così avvertita neanche da noi stessi, per non parlare dell’esemplarità morale: ad attrarre il nostro sguardo è soltanto la grazia di Cristo», la cui presenza «si rende avvertita nell’azione della santa liturgia».

Tra tempo ed eternità

La dimensione fondamentale del vivere cristiano che è l’anno liturgico: «non semplicemente un susseguirsi di giorni, ma un rivivere l’esperienza storica di Gesù, fino al culmine della sua passione, morte e risurrezione, scansione da interpretare non tanto in senso cronologico, come se ogni anno rivivessimo la vita di Gesù, ma in senso teologico». Al culmine di tutto, la grande Settimana Santa, con il nucleo decisivo dei giorni del triduo pasquale, quelli – diceva ancora Guardini – «che stanno in mezzo fra il tempo e l’eternità».

Una sola liturgia

Qui il vescovo ha insistito sul corretto approccio celebrativo. I tre vanno infatti considerati «come un unicum, che le nuove norme fanno iniziare il Giovedì Santo con la Messa in cœna Domini. Significativamente, essa si conclude senza il congedo finale. L’assemblea si scioglie in un religioso silenzio, dandosi appuntamento alla seconda tappa, che è la liturgia del Venerdì Santo, questa pure senza saluto finale, in attesa della Veglia che, al momento del Gloria, dà spazio a un “teologico fracasso” con cui la comunità esprime la volontà di annunciare la risurrezione».

È seguita l’analisi dei singoli giorni, «da non intendersi come preparazione alla Pasqua, ma tutti come Pasqua stessa». Partendo dal «prologo del triduo sacro», che è il Giovedì Santo, «giorno del servizio», con la memoria dell’ultima cena, del dono eucaristico in cui l’intero Triduo pasquale «è come raccolto, anticipato, e “concentrato” per sempre». L’istituzione dell’Eucaristia è un tutt’uno con l’istituzione del servizio, rievocata durante la Messa del Giovedì Santo nel rito della lavanda dei piedi, prima riservato alla sola Cattedrale, con la riforma di Pio XII esteso a tutte le parrocchie «permettendo così a ogni comunità cristiana di lasciarsi interrogare da esso». Per poi vegliare con Cristo all’altare della riposizione, giustamente riscoperto nel suo valore “vivo” rifuggendo l’errata immagine e concezione del “sepolcro” che prevaleva in passato.

Poi il Venerdì Santo: «il giorno dell’amore» in cui, ha ricordato Pompili, si digiuna anche dalla celebrazione dell’Eucaristia e si contempla la croce: essa, sottolinea il vescovo, «appartiene al nucleo del cherigma apostolico e per quanto possa risultare scomoda e folle, non saremmo cristiani se rinunciassimo ad annunciarla», non però per impostare una «mistica dei patimenti» facendo del crocifisso «un talismano, o un simulacro muto», perché la croce «proclama a gran voce che l’amore è l’unica forza in grado di sconfiggere il male. Chi venera il Crocifisso, condivide inoltre una posizione: quella di Cristo che sta dalla parte degli ultimi, degli sconfitti, degli umiliati. La croce è speranza per gli uni, e, al tempo stesso, giudizio severo dell’onnipotente arroganza dei crocifissori».

Quindi il Sabato Santo, «il giorno del silenzio», unico giorno dell’anno privo di azioni liturgiche, facendo memoria della sepoltura di Gesù e del suo “scendere per risalire”. Giorno, questo sabato, «che ci permette di parlare della morte in modo nuovo. Cristo non libera dalla morte biologica, ma ne rivoluziona il senso, privandola del suo aspetto ostile» come canta san Francesco chiamandola “sorella”.
Ed ecco che «percorrendo il silenzio di questa oscurità mortale la comunità giunge alla notte più importante di tutte. Siamo ora pronti a celebrare la madre di tutte le notti: la veglia pasquale. La luce di Dio splende nella notte».

Il giorno dei cristiani

E inizia così la domenica di Pasqua, «il giorno dei cristiani» chiamati ancora oggi a «narrare con un cuore solo e un’anima sola la Buona Notizia, svelando con la loro vita che “il solo vero peccato è rimanere insensibili alla Resurrezione”, come esclamava Isacco il Siro, e cantando a tutti e per tutti: “Non temete, non abbiate paura, non provate angoscia! Cristo è risorto e vi precede!”».

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