Imparare dai poveri per incontrare Gesù

Tutto è connesso. La chiave di accesso al pensiero dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è in fondo un passe-partout che dischiude il senso di molte altre scelte del suo pontificato. Non fa differenza l’istituzione della Giornata Mondiale dei Poveri, che anche la Diocesi di Rieti ha vissuto la scorsa domenica, accompagnata da un messaggio del vescovo letto in ogni parrocchia durante e con una celebrazione eucaristica presieduta da mons Domenico Pompili nella chiesa di Santa Barbara in Agro, dove è parroco il direttore della Caritas diocesana, don Fabrizio Borrello.

Tutto è connesso: con buona pace dell’approccio scientifico, che ottiene il dominio sui fenomeni con la specializzazione, cioè nella misura in cui riesce a separarli, non si comprende davvero la realtà senza guardarla nel suo insieme, sapendo riconoscere la consistenza delle relazioni. Il vescovo l’ha lasciato trasparire parlando dei poveri a partire dallo sguardo escatologico di Gesù. Quanto però a quel giorno e a quell’ora nessuno lo sa, dice il Maestro nel vangelo di Marco, quasi cercando di distogliere la curiosità dei suoi ascoltatori dal pensiero sul futuro. «Ma paradossalmente – ha notato don Domenico – il suo linguaggio apocalittico finisce per accrescere la curiosità». Gesù non vuole spaventare: «Apocalisse significa piuttosto svelare», in particolare svelare il senso della storia, «che di suo non ha tanto una fine, quanto piuttosto un fine». È quasi contro intuitivo leggere la storia non dal suo inizio, ma a partire dalla sua meta. Ha avvertito però don Domenico che «Non ci appartiene né lo sguardo che fa riferimento all’inizio, ne quello che parte dall’esito». Infatti «Siamo troppo incalzati dal ritmo quotidiano per apprezzare l’inizio: gli scienziati ci dicono che la vita sulla terra è comparsa circa 4 miliardi di anni fa, l’homo sapiens trecentomila anni fa, con i primi segni dell’agricoltura, al termine di un’evoluzione molto articolata. Se uno semplicemente tiene presente questi inizi, si rende conto di come il nostro sia uno sguardo rattrappito, schiacciato sull’attimo fuggente, sull’attimo presente. Avere il senso dell’inizio dà le vertigini ma dà anche la possibilità di riscoprire questa traiettoria».

Allo stesso modo ci è estraneo il senso della meta, cioè della fine, che pure «è qualcosa di estremamente necessario». Infatti Gesù non simula: «Dice apertamente che questo mondo avrà una fine, ma la fine di un mondo, non è la fine del mondo. E per farcelo capire il Maestro utilizza un’immagine poetica: imparate dal fico, le cui foglie tenere e il cui ramo tenerissimo, ci dicono in anticipo dell’estate. Imparare dal fico significa imparare dalla natura, ma significa più profondamente imparare dalla realtà per quella che è, senza censurarla».

Ma c’è una dimensione che la nostra generazione ha frettolosamente censurato è proprio la povertà. «È una cosa piuttosto inedita: se prima i trattati di cultura politica dedicavano più spazio ai poveri, nel ‘900, laddove il fulcro del benessere è diventata la nuova religione, la povertà è stata messa a tacere. E allora fa bene papa Francesco a metterci continuamente sotto il naso i poveri: come ancora l’altro giorno ad Assisi». Dare la parola ai poveri, esibire la povertà è una provocazione che non lascia senza conseguenze: «Ci fa comprendere che i poveri fanno parte della realtà e non è pensabile che la realtà evolva separatamente i ricchi dai poveri». Tutto è connesso, ancora una volta: «Siamo legati vicendevolmente ed è questo che la festa di questa domenica intende rievocare: non è per fare del populismo o della demagogia, ma per ricordarci che tutti siamo in una certa misura poveri e dunque non possiamo pensare di andare avanti separatamente gli uni dagli altri».

Mons Pompili ha concluso commentando il cuore del passo evangelico: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Gesù è il povero, il più povero tra i poveri. Ma con la sua vita indifesa, povera, fragile, ha introdotto nell’esperienza umana quel percorso di cambiamento che può rinnovare dal di dentro la storia. Guardare ai poveri uno ad uno, fino al punto di saperli contare, significa guardare alla realtà senza censurare alcuna parte di essa. Quello che ci ha insegnato Gesù, con la sua povertà che è diventata ricchezza per tutti, è che essa non passa. Per questo la Chiesa deve dare sempre più spazio a questa esperienza, perché è la Chiesa stessa che impara così a stare dappresso al suo maestro, che è il povero, il più povero tra i poveri».