Il vescovo: Gesù ci libera dallo spirito settario

XXVI domenica del tempo ordinario

(Num 11, 25-29; Giac 5, 1-6; Mc 9, 38-43.45.47-48)

“Chi non è contro di noi è per noi”. Gesù replica a Giovanni, il fratello di Giacomo. Entrambi sono i figli di Zebedeo, la cui parola richiama il tuono. “Non rompere gli zebedei”, infatti, significa di per sé ‘non rompere i timpani’, come accade quando all’improvviso un tuono irrompe e mette paura. E per questo l’epiteto con cui i due fratelli sono definiti è ‘Boanerghes’ che significa proprio ‘figli del tuono’ ad indicare il loro carattere impulsivo e vendicativo. A Giovanni, in particolare, dà fastidio che qualcuno possa far qualcosa di buono (in quel caso una sorta di esorcismo) e non appartenere al gruppo ristretto degli amici di Gesù. Quasi che solo all’interno del cerchio magico dei 12 possa esserci la possibilità di fare il bene. Il Maestro, al contrario, allarga immediatamente questa impostazione settaria e intransigente e lascia intendere che il bene da qualunque parte provenga è sempre bene. Con parole insuperabili Tommaso d’Aquino dirà: “Il bene, da qualunque parte proviene, viene sempre… dallo Spirito!” .

La tendenza al settarismo: a distinguere noi dagli altri, cioè in pratica, i buoni dai cattivi, è molto diffusa. Da ragazzi poi lo spirito di gruppo rischia di enfatizzare questo aspetto alla ricerca di sicurezza e protezione. Ma è sempre un errore dividere il mondo in bianchi e neri, in guelfi e ghibellini, in ‘noi’ e ‘loro’. C’è sempre una possibilità di intesa anche coi più lontani che resta fondata sul bene. Allora ci si sorprende a scoprire quanti e quali siano coloro che aiutano il mondo ad andare avanti, “danno da bere un bicchiere d’acqua” che riscatta la vita da quella sopraffazione, che come ci ricorda Giacomo, è la legge della giungla che da sempre domina il mondo. Anche Giosuè, di cui parla la prima lettura, mostra di patire la stessa immaturità. Fa la spia a Mosè perché Eldad e Medad profetizzano stando ‘fuori’ della tenda del convegno. Ma il grande condottiero dell’Esodo, esattamente come Gesù, non ci sta e rivela il suo cuore magnanimo con queste parole: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito”. Quel che unisce è molto di più di quello che divide. Quando ce ne accorgeremo sarà sempre troppo tardi!

Il Maestro, però, dopo questo invito all’apertura riserva proprio ai suoi una stilettata che improvvisamente rende il suo linguaggio intransigente e duro. Fa riferimento alla mano, al piede e all’occhio per indicare membra del corpo di fondamentale importanza. Ma se compromettono l’adesione al bene e rischiano di produrre uno scandalo, non bisogna esitare perfino a darci un taglio. Beninteso nessun invito a mutilazioni fisiche, ma solo la plastica conferma che ciò che vale può richiedere anche il sacrificio di una parte. Non si può vivere la fede senza essere disponibili a perdere qualcosa di rilevante. L’obiettivo non è certo di tagliare la mano, l’occhio, il piede, ma di convertirli. Questa parola così esigente vuol dire che non bisogna sempre dare la colpa agli altri, alla famiglia, alla società. Il male è dentro di te: è nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Devi stanarlo dentro di te e allora ci vedrai, camminerai e donerai senza incertezze. È un invito a lottare contro se stessi, prima che contro gli altri. A non confondere il nemico esterno con quello interno che è più pernicioso. Ricevere lo Spirito vuol dire imparare a dare del tu a questi movimenti interiori perché un ragazzo non è solo quello che appare ma il suo mondo interiore, i desideri che coltiva, i sogni che cerca di preservare.

“Non era dei nostri” è lo spirito settario da cui intende liberarci Gesù per allontanarci dal fanatismo e dalla violenza che oggi seminano tante divisioni. E la parola dura a tagliare ciò che è più caro è un invito a lavorare su di sé invece di scagliarsi contro tutti.

Come confessava candidamente Lev Tolstoj: “Tutti pensano a cambiare, ma nessuno pensa a cambiare se stesso”.