Il vescovo Domenico: da S. Francesco l'invito a «confessare tutti i peccati»

Triduo in preparazione alla festa di San Francesco (2 ottobre 2015)

(Bar 1, 15-22; Fonti francescane nn. 186-190)

Per ben tre volte il profeta Baruc nell’avvio del libro che porta il suo nome ribadisce: “Abbiamo peccato contro il Signore, gli abbiamo disobbedito, non abbiamo ascoltato la voce del Signore…”. E, poi, ancora: “Noi ci siamo ribellati al Signore, nostro Dio, e ci siamo ostinati a non ascoltare la sua voce”. E, infine: “Non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio, secondo tutte le parole dei profeti che egli ci ha mandato”.

Il peccato, per definizione, è non ascoltare! Sottrarsi con ostinazione alla voce di Dio che ci parla attraverso le persone e gli eventi che ci manda. Le parole di Baruc hanno una dolorosa conferma nella tragica distruzione di Gerusalemme e nell’esilio che disperde il popolo. A ben guardare, quando siamo sordi alla voce di Dio si arriva allo stesso esito. Ogni giorno constatiamo la continua distruzione della città degli uomini (guerre, fame e immigrazione, violenza, malessere) e una sorta di polverizzazione dei legami. Ma di chi è la colpa? Siamo soliti attribuirla, di volta in volta, alla crisi economica, a quella politica, a quella sociale. Ma è proprio così?

San Francesco, la cui festa ci apprestiamo a celebrare fra qualche giorno, è una esperienza che va in ben altra direzione. Eppure vive in un periodo storico segnato da gravi diseguaglianze sociali ed economiche e in una condizione ecclesiale decisamente scadente. Ciò nonostante il poverello di Assisi non si scaglia contro il sistema. Si ritira proprio qui a Fontecolombo, ospite dei monaci di Farfa, e nella minuscola cappella dedicata a Santa Maria e detta della Maddalena, si immerge in Dio. Qui impara ad osservare la natura e si lascia incantare dal Monte Rainiero, da lui ribattezzato Fons colombarum perché nella fonte sottostante il suo sguardo è attirato dalle colombe che si abbeverano. Francesco è lui stesso una colomba e mostra di non avercela con gli altri. Si sente pacificato e per questo vede tutto con occhi nuovi e trasfiguranti. Una grotta diventa il grembo dal quale rinasce. Si tratta di una piccola fenditura che a malapena lascia entrare una persona. Là Francesco si ferma e si lascia andare ad un tempo di preghiera e di penitenza che prelude alla messa per iscritto di quella Regola che segnerà definitivamente la vita dei suoi fraticelli.

Comprendiamo allora la semplicità e l’immediatezza con cui le Fonti documentano il suo invito a ‘confessare tutti i peccati’. Confessare non è una resa, ma una conquista. Solo quando riusciamo a sbloccare in noi il meccanismo dell’autodifesa e ad aprirci sinceramente all’abbraccio di Dio riusciamo a trovare la pace che invano scansiamo in nome della polemica e della rivendicazione. Qui a Fontecolombo San Francesco ha riabbracciato la pace e si è riconciliato con Dio, con gli altri e con il mondo della natura. Lasciamoci attrarre da questa sua scelta esigente e liberante. E chiediamo di riuscire a fare la nostra confessio che non è solo andarsi a confessare, ma significa anche lodare, riconoscere, proclamare.

La confessione di lode è la prima cosa. Abbiamo tante possibilità di cui non siamo consapevoli. Dobbiamo individuare una o due cose per le quali ringraziare.

La confessione della vita è individuare i nodi irrisolti, quei profondi sentimenti o emozioni che ci pesano e che non vorremmo ci fossero. Lì si annidano le radici dei nostri peccati. Risentimenti, amarezze, tensioni che attendono di essere sciolte dal Signore.

La confessione della fede è l’esito di questo colloquio penitenziale, in cui ci si arrende al Signore Gesù che “mai si stanca di perdonare, ma noi, a volte, ci stanchiamo di chiedere perdono” (papa Francesco).

Facciamo nostre le parole di San Francesco per essere immersi dentro la sua esperienza che proprio qui conobbe uno dei suoi vertici:

“Altissimo glorioso Dio
illumina le tenebre
de lo core mio.
Et dame fede dricta
speranza certa
e carità perfecta,
senno e cognoscemento.
Signore, che faccia
lo tuo santo e verace
Comandamento”